L’annuncio del Presidente Barack Obama sull’apertura a Cuba ha un forte valore simbolico, dopo circa mezzo secolo di isolamento diplomatico imposto da Washington al vecchio nemico ideologico. Tuttavia, è un passo che non cambia i grandi equilibri mondiali né le direttrici complessive della politica estera americana.
La valenza principale dell’accordo di massima con L’Avana – che comunque affronterà ora dei passaggi delicati prima di portare all’eventuale rimozione dell’embargo – sta nella scelta testarda di Obama di mantenere un’altra delle sue promesse elettorali del 2008, anche a fronte dei difficili rapporti con il Congresso. Il Presidente americano aveva infatti indicato fin dall’arrivo alla Casa Bianca la propria volontà di superare questa eredità della guerra fredda e di ristabilire normali relazioni diplomatiche. Il Presidente ha ora ribadito che le sanzioni contro Cuba sono da tempo diventate anacronistiche, sebbene fossero ispirate da “buone intenzioni”; in sostanza, un approccio pragmatico piuttosto che revisionista sulla politica americana.
Come su altre questioni spinose – dal futuro della riforma sanitaria alle regole sull’immigrazione – la Casa Bianca cerca così di mettere alle strette gli avversari con una tattica abbastanza lineare: prendere l’iniziativa unilateralmente, sfidando i Repubblicani a proporre una soluzione alternativa che abbia un sostegno davvero maggioritario nel Paese. E non sarà certo agevole rovesciare una decisione dell’Esecutivo di tale portata simbolica – in particolare se si considera che sempre più americani, anche di origine cubana, si dicono contrari all’embargo – pur considerando che il GOP avrà da gennaio il controllo completo del Congresso (o quasi completo, mancando i numeri per superare la tecnica ostruzionistica del filibustering).
Ciò vale per diversi dossier internazionali, in particolare quelli su cui Camera e Senato hanno un ruolo determinante: a partire proprio dalle sanzioni, non soltanto verso la piccola Cuba ma soprattutto verso la Russia e l’Iran. È possibile che il complicato dibattito in corso su questi strumenti di pressione si muova in una direzione più favorevole all’impostazione preferita da Obama, secondo cui lo strumento delle sanzioni funziona al meglio se èflessibile, invece di diventare quasi atrofizzato (leggasi: Cuba, 1961-oggi).
Il test decisivo per quest’ultima mossa del Presidente sarà, nei prossimi mesi, comunque tutto interno: la Casa Bianca dovrà mostrarsi capace di superare le forti obiezioni di quella che appare essenzialmente come una agguerrita minoranza (tanto in Congresso quanto presso l’opinione pubblica). Parte dei Repubblicani – come Marco Rubio, nome emergente nel GOP e Senatore della Florida di origini cubano-americane, ma anche il solito John McCain – sembrano intenzionati a dare battaglia, ma non sarà facile per loro argomentare in modo convincente che il regime cubano pone una reale minaccia agli Stati Uniti, perfino in termini di “valori”. In fondo, non ci sono sanzioni in vigore contro Paesi come Cina o Arabia Saudita, che sono a dir poco carenti quanto a credenziali liberal-democratiche.
Anche i Democratici dovranno sopportare qualche mugugno interno, in effetti ancor più minoritario e non tale da minare la loro tenuta partitica su questo tema specifico. Il capo della Commissione Affari Esteri del Senato, il Democratico Robert Menendez del New Jersey, ha risposto alla notizia della liberazione di Alan Gross, contractor dell’agenzia americana per lo sviluppo (USAID), in cambio di tre spie cubane (cui va per altro aggiunto il rilascio di una spia americana), dichiarando: “Questo scambio asimmetrico inviterà ulteriore belligeranza contro il movimento di opposizione a Cuba e l’irrigidimento della presa di questo governo dittatoriale sulla sua gente”.
Ci potrà essere inoltre un intreccio delicato con le scelte di alcuni possibili candidati alla presidenza nel 2016, come nel caso di Jeb Bush, ex Governatore della Florida che finora si è espresso decisamente contro il riallacciamento dei rapporti diplomatici ed economici con Cuba.
Mentre i vari protagonisti della politica americana decidono quale posizione adottare a proposito della nuova politica dell’amministrazione verso Cuba, e come giocare le proprie carte in merito, il Presidente Obama potrebbe approfittare della spinta acquistata improvvisamente dopo le elezioni di medio-termine per andare anche oltre. Dopo il controverso rapporto del 9 dicembre sulle attività della CIA e le polemiche sulla tortura, resta da vedere se Obama punterà addirittura all’obiettivo rivelatosi finora inafferrabile (tra quelli del 2008), cioè la chiusura delle prigioni speciali di Guantanamo – proprio sull’isola di Cuba. Sulle ali dell’entusiasmo, perfino un Presidente descritto come “anatra azzoppata” potrebbe riuscire a volare alto.