I sondaggi parlano chiaro: solo il 30% degli egiziani pensa che il Paese stia andando nella direzione giusta. La stessa percentuale sostiene che si stava meglio quando si stava peggio, ovvero durante il regime di Hosni Mubarak. A rivelare questi numeri è l’ultimo sondaggio del Pew Research Center, dal quale emerge anche che quasi sei egiziani su dieci vogliono una democrazia nella quale l’Islam giochi un ruolo centrale.
Mentre il pessimismo dilaga, la società civile sembra vicina allo scontro frontale con il governo islamista. Prima dello scoppio della rivoluzione, pur operando in minuscoli spazi lasciati dal regime, alcuni movimenti civici egiziani hanno svolto un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Ora però l’attività delle organizzazioni non-governative rischia di essere limitata a causa di una nuova proposta di legge, presentata lo scorso 29 maggio, che aumenterebbe il controllo del governo.
A questa si aggiungerebbe un’altra legge che mira a regolare i finanziamenti stranieri alle organizzazioni non-governative, oltre che ai partiti politici. La legge venne discussa inizialmente nel dicembre 2011, in seguito a una retata delle autorità egiziane nelle sedi di numerose organizzazioni umanitarie cairote. In quell’occasione vennero espulsi dal paese 43 attivisti provenienti da Stati Uniti, Palestina, Gran Bretagna, Norvegia e Germania. Le accuse nei loro confronti erano di finanziare ONG e/o ricevere fondi stranieri senza le necessarie autorizzazioni. Nel mese di giugno questi esponenti della società civile sono stati condannati a una pena detentiva che va da uno a cinque anni di reclusione.
La necessità di una riforma complessiva in questo settore è giustificata dal carente quadro normativo che regola l’attività delle ONG egiziane e il flusso di soldi che queste ricevono dall’estero. La legge 84 emanata nel 2002 lascia aperte le porte a molte scappatoie. Se fino al 2011 queste sono state usate dal regime di Mubarak per punire o screditare selettivamente le organizzazioni scomode, le nuove autorità vogliono colmare definitivamente i vuoti normativi per controllare capillarmente la società civile.
Nel mirino dei legislatori ci sono anche i partiti, che secondo la legge 84 non possono né a loro volta finanziare ONG, né ricevere fondi stranieri da utilizzare durante campagne elettorali o in altri momenti. Con la riforma della legge dei partiti approvata dopo la rivoluzione, questi non possono nemmeno essere il ramo straniero di organizzazioni o movimenti politici stranieri.
Anche se le autorità cercano di bloccare ogni finanziamento proveniente dall’estero, una ricerca condotta dall’Arab Forum for Alternatives mostra che sul campo la realtà è diversa: pur essendo ufficialmente bandito, il finanziamento straniero ai partiti e alle ONG è un fenomeno diffuso, addirittura in aumento dalla caduta di Mubarak.
Secondo questo studio, i finanziamenti stranieri provengono soprattutto dal Golfo – in primis da Arabia Saudita e Qatar – e poi dagli Stati Uniti. L’Europa è presente ma in misura molto minore. In un articolo pubblicato lo scorso ottobre dall’Economist, emerge che gli stati del Golfo sovvenzionano soprattutto organizzazioni caritatevoli affiliate ai salafiti, gli islamisti più conservatori di derivazione saudita. Un’altra ricerca pubblicata dall’Atlantic Council conferma questa tendenza, mostrando come il partito salafita Al-Nour, arrivato secondo alle ultime elezioni parlamentari, abbia intascato ingenti somme dal Golfo, soprattutto dall’Arabia Saudita.
Simili accuse sono state mosse ai Fratelli musulmani, ma le loro entrate sono più complesse da rintracciare, data la sovrapposizione politica e finanziaria tra il movimento e il suo partito, Libertà e Giustizia.
Anche i partiti liberali e alcuni movimenti giovanili post-rivoluzionari sono accusati di ricevere illegalmente soldi provenienti dall’estero, soprattutto dagli Stati Uniti. Lo scorso agosto Essam El-Arian, all’epoca presidente di Libertà e Giustizia, ha pubblicamente accusato i Socialisti Rivoluzionari di ricevere soldi da Washington. Incalzato dalla richiesta di mostrare documenti a conferma delle sue accuse, El-Arian ha però in parte ritrattato.
Infine, anche nel mondo dei media si registrano importanti finanziamenti stranieri che hanno accompagnato e agevolato l’esplosione del numero di nuovi canali televisivi. Molti di questi (come pure siti internet) sono di ispirazione salafita e beneficiano di finanziamenti sauditi fin dall’epoca di Mubarak.
Per interrompere questo flusso di denaro, la nuova legge prevede la creazione di una commissione di coordinamento con il compito di approvare il finanziamento estero e la registrazione delle ONG. Associazioni e partiti che desiderino cooperare con enti stranieri dovranno quindi ottenere un’autorizzazione preventiva. Nella commissione incaricata di sovrintendere l’attività di tutte queste associazioni, non ci sarebbero però membri della società civile.
Secondo l’Arab Forum for Alternatives, i finanziatori stranieri possono svolgere un ruolo importante, senza però condizionare l’elargizione di fondi a interferenze nella vita politica del paese. In questa ottica, ogni nuova legge dovrebbe garantire trasparenza sulle modalità di finanziamento di ONG, partiti e mezzi di comunicazione, garantendo comunque la possibilità alle ONG di generare reddito attraverso strumenti non commerciali. Più che sottoporre ad approvazione la ricezione dei fondi, il governo potrebbe monitorarne l’arrivo esigendo una puntuale notifica.
Ciò che è certo è che queste nuove proposte di legge rischiano di surriscaldare ulteriormente il clima politico in un momento delicato, dopo un significativo rimpasto governativo e in una situazione di stallo sia istituzionale che economico. Rischiano anche di aumentare il fossato tra società e governo e tra leadership dei Fratelli musulmani e comunità internazionale. Il tutto in un gioco di potere che potrebbe essere tanto dannoso per i Fratelli musulmani – sempre più accusati di autoritarismo e continuità sostanziale con i metodi del regime di Mubarak – quanto per le diverse realtà associative, siano esse liberali o islamiste. Questi enti si troveranno ad operare in condizioni più restrittive e rischiano di essere alla fine percepite come semplici emanazioni dello stato e non, invece, autonomi corpi sociali.
Al tempo stesso, gli attori della società civile dovrebbero, da parte loro, adottare anche nuovi comportamenti, oltre a battersi per la creazione di un contesto legislativo che non incateni le loro attività. Infatti, a furia di cercare scappatoie alla legge, anziché mettere l’etica e la deontologia professionale al centro della loro azione, alcuni di questi attori corrono il rischio di imbattersi in circuiti di corruzione dannosi per la transizione complessiva del paese. Poiché, come è noto, le autorità continuano a portare avanti contro di loro un’intensa attività diffamatoria attraverso tesi cospirative di diverso genere, tali comportamenti nell’area grigia tra legalità e illegalità finirebbero per agevolarne gli effetti negativi.