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Tunisia: un autunno salafita?

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Il 23 ottobre 2011, le prime elezioni tunisine del dopo-Ben Ali decretarono la vittoria del partito islamista di Ennahda. Basta tradurre dall’arabo il nome del partito per comprendere l’atmosfera nella Tunisia del dopo-Ben Ali: Rinascita, cioè la rinascita di un movimento socio-politico di forte ispirazione islamica. Come avevamo scritto lo scorso novembre sulle pagine di Aspenia online, si trattava chiaramente di una storica occasione per la corrente islamista ispirata dalla Fratellanza musulmana. Il partito, fino ad oggi, ha adottato un approccio retoricamente moderato, senza attaccare le istituzioni e i corpi di polizia ma soprattutto tranquillizzando la società civile; eppure, il rischio di “salafizzazione” in Tunisia, a distanza di sei mesi, è cresciuto ed è probabilmente diventato una realtà.

Per comprendere come una corrente apparentemente assente – o meglio presente in modo clandestino durante il regime Ben Ali – in Tunisia sia riuscita a diffondersi in modo relativamente rapido, bisogna prendere in considerazione due aspetti fondamentali: la forte repressione esercitata dal potere centrale e dai suoi servizi di sicurezza e il terreno fertile creato da una fazione islamista al potere, cioè appunto Ennahda.

Dal termine arabo “Salaf” (antenato), la corrente cosiddetta “salafita” invoca il ritorno all’Islam degli antenati, e quindi a un periodo storico compreso fra il VII e l’VIII secolo d.C. Il fenomeno si è andato sviluppando in gran parte del mondo arabo-islamico negli ultimi due secoli, anche come reazione alla cultura occidentale veicolata dai colonialisti, la corrente salafita è presente e discussa in seno all’Islam fin dal 1200 d.C.

Nonostante la natura clandestina del movimento salafita, la Tunisia sotto il regime di Ben Ali non è stata immune a queste influenze, soprattutto per via delle attività di uno sceicco formatosi in Arabia Saudita che avrebbe ispirato i “nuovi” salafiti tunisini: lo shaykh Al-Khatib al-Idrissi. La diffusione di testi ritenuti salafiti era bandita dalle autorità in quanto avvertita come una minaccia al potere. L’attuale scenario vede Ennahda impegnata in un delicatissimo esercizio di equilibrio politico, come è emerso chiaramente su una questione basilare del salafismo: la shari’a, la legge religiosa (e quindi la Parola di Allah) come fondamento della Costituzione. Dopo mesi di dibattito, Ennahda si è pronunciata decretando che la shari’a non sarebbe stata il fondamento della Costituzione.

La prova più tangibile di questa profonda spaccatura sociale in Tunisia si è avuta gli scorsi 11 e 12 giugno, a seguito di una mostra d’arte definita “blasfema” dai salatiti, che si è tenuta ad Al-Marsa, a nord della capitale tunisina: alcuni gruppi di manifestanti hanno attaccato i simboli dello stato – commissariati, sedi di partiti politici e sindacali, tribunali – come segno di protesta contro la mostra. Da parte sua, Ennahda ha cercato di rimanere aggrappata alla sua politica ambivalente: da un lato ha condannato la “profanazione del sacro” e dall’altro ha biasimato le violenze dei salafiti.

Alla luce di questi disordini, il presidente della Repubblica tunisina ha cancellato due visite ufficiali, in Senegal e Brasile. Nel paese sembra essere tornata la calma, ma quanto accaduto costringe l’opinione pubblica e la classe politica tunisina, quella arabo-islamica e quella occidentale ad una riflessione sul futuro delle correnti liberali e dei giovani che hanno manifestato in piazza e provocato la caduta di Ben Ali.

La Tunisia è diventata oggetto di discussione – per la prima volta in modo sistematico – della comunità virtuale jihadista. Ayman al-Zawahiri, attuale leader di al Qaeda, ha rivolto il suo primo messaggio al popolo tunisino lo scorso 11 giugno, esortandolo a chiedere l’applicazione della shari’a e confermando ancora una volta la persistenza della minaccia jihadista come elemento di instabilità in tutto il Nord Africa. Come ha scritto sul quotidiano La presse de Tunisie uno degli opinionisti più in vista tra coloro che hanno sostenuto le rivolte della prima ora, Soufiane Ben Farhat, è in pieno svolgimento una battaglia politica e culturale tra due ipotesi: la Tunisia oppure il “Tunistan”.