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Angela Merkel tra i successi economici e la sfida della popolarità

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I tedeschi possono andar fieri della loro economia: recentemente le stime della crescita per il 2011 sono state alzate dal 2,3% al 2,6%, grazie a un impennata nella domanda interna. Questo ottimismo diffuso si riflette anche nei dati sull’occupazione: le persone senza lavoro sono il 6,3%, il livello più basso dal 1992. Anche i giovani hanno opportunità: la disoccupazione giovanile è al 7,9%. Il resto dell’Europa guarda questi numeri con invidia. Oscillando su tassi di crescita attorno all’1%, Francia, Italia e Spagna devono affrontare percentuali di disoccupazione tra i giovani che, nel caso iberico, arrivano al 43,5%.

Nonostante simili risultati, la poltrona di Angela Markel vacilla, in un clima d’instabilità che ricorda gli ultimi mesi da cancelliere di Gerhard Schröder o Helmut Kohl. Epocale è stata la recente disfatta nel Land del Baden-Württemberg, bastione industriale cristiano-democratico da sempre, che nelle ultime elezioni ha assegnato la vittoria a una coalizione di verdi e socialdemocratici. Gli alleati di governo della Merkel, i liberali, nello stesso Land hanno temuto fino all’ultimo di non aver superato neanche la soglia del 5% per accedere al parlamento locale. Con il 5,3%, alla fine, hanno ottenuto un risultato che è stato la metà rispetto a quello delle precedenti elezioni nel 2006 – e solo 7 deputati liberali siederanno nell’assemblea.

In generale, l’approvazione per Angela Merkel è scesa al 55% (secondo il settimanale Stern), un punto sotto il capo dell’opposizione, Frank-Walter Steinmeier dell’SPD.

Tale contraddizione tra successo economico e crisi politica potrebbe essere spiegata con la teoria della “Sindrome di Winston Churchill”. Il grande leader britannico fu apprezzato e idolatrato in tempo di guerra, salvo poi perdere le prime elezioni quando la guerra in Europa era finita, nel luglio del 1945. Angela Merkel è un leader accentratore e rigoroso, che ha goduto del massimo consenso quando si è trattato di affrontare la crisi finanziaria, ma che non sta reggendo la prova dell’approvazione popolare al momento della rinascita.

Dopo anni di sacrifici, i tedeschi dal proprio leader si aspettano la capacità di comprendere le nuove istanze sia al livello locale che nazionale, e questo non sta riuscendo alla Merkel.

L’esempio più eclatante di tale problema è rappresentato dalla questione nucleare. Nonostante ci sia una crescente insofferenza verso questa forma di energia, nel 2010 il governo ha approvato il prolungamento della vita utile delle centrali in attività: otto anni per quelle più vecchie, e quattordici per le nuove. L’incidente di Fukushima è avvenuto poco prima delle elezioni regionali tedesche. A ciò la Merkel ha reagito goffamente annunciando l’arresto immediato di sette impianti nucleari, per “controlli”. Non è stato sufficiente per riagganciare il favore popolare, ed è stato anche una dimostrazione di incoerenza.

Il contrasto tedesco tra volere popolare e necessità politica si esprime anche sul fronte finanziario internazionale. Mentre la Germania “tira”, alcuni paesi d’Europa chiedono aiuto ai tedeschi per sostenere le proprie economie. La Merkel non può rifiutare di prestare finanziamenti, perché il tracollo continentale deve essere evitato; nel contempo riceve però gli attacchi di chi non “vuole regalare i propri risparmi ai fannulloni di Atene o Lisbona”. Qualsiasi cosa faccia, il governo sbaglia, che aiuti o non aiuti gli altri paesi.

All’interno del governo mancano personaggi veramente in grado di attirare un vasto consenso. Alcuni dei liberali, alleati della CDU-CSU, sembrano troppo presi da questioni dottrinarie di alto livello, per occuparsi della realtà politica. Nei confronti di un tema caldo come l’energia e la salvaguardia ambientale, sono arrivati pochi mesi fa a organizzare un incontro a Berlino con un negazionista del riscaldamento globale, l’ottantaseienne Fred Singer – certo non una scelta felice per intercettare il favore popolare. L’insuccesso liberale è anche colpa della strategia di governo: ai liberali sono state assegnate posizioni “difficili”: esteri, giustizia, industria, salute. Si tratta di ministeri che chiedono molti soldi e distribuiscono poco; per questo, sono stati una scelta molto rischiosa per un partito con poca esperienza di governo, come l’FDP.

L’unico soggetto della CDU/CSU che sembrava in grado di attirare il consenso popolare era l’ex-ministro della Difesa Karl Theodor von Guttenberg, protagonista di uscite in Afghanistan in occhiali da sole ed elmetto, oltre che di una comparsata allo “Scommettiamo che” tedesco con moglie al seguito: una figura comunque innovativa nel panorama tedesco. Il caso della tesi di dottorato copiata lo ha allontanato dai palazzi di Berlino, e da più parti si è sospettato che la timida difesa espressa dalla Merkel celasse il desiderio di far fuori un pericoloso concorrente.

I verdi in Baden-Wurttemberg non hanno vinto per il loro essere “di sinistra”, ma per la capacità di percepire le istanze locali ed esprimerle. Per mesi hanno partecipato a Stuttgart, la capitale del Land, a proteste contro la costruzione di una nuova stazione ferroviaria (il piano “Stuttgart 21”), e le manifestazioni hanno ricordato per intensità le “Dimostrazioni del lunedì” prima della caduta del muro. Alla fine, il progetto immobiliare è stato fermato, regalando una sorta di trionfo di immagine ai verdi.

Oggi, in Germania come negli Stati Uniti, ciò che permette ai leader politici una popolarità che spesso sconfina nel populismo è soprattutto proporre i propri tratti umani, mettendosi in gioco nei media e mostrando apertamente qualche sentimento (magari simulato). Tramite questo si riesce spesso a intercettare il consenso delle masse. Non è un’arte che Angela Merkel padroneggia: è una donna politica astuta, abile e caparbia; ha molto carattere, ma forse non più la personalità adatta per questo clima popolare.