Per le relazioni transatlantiche esiste, forse, un’opportunità del tutto nuova. Non si tratta solo della fine ingloriosa della politica dell’amministrazione Bush. Il rapporto presenta delle crepe più profonde e antiche. La guerra fredda aveva reso l’alleanza una necessità senza alternative e questo permetteva di mettere in secondo piano i motivi di dissenso. Oggi c’è invece la possibilità di trasformarla in un’intesa matura e consapevole. Cosa è cambiato?
In Europa si sono molto indebolite le correnti antiamericane, sia di origine gollista, sia quelle radicate in una parte della sinistra. La decisione francese di reintegrarsi pienamente nella Nato è un fatto molto importante. Inoltre l’Europa, nonostante le incertezze e gli incidenti di percorso, ha rafforzato la sua unità e quindi la fiducia in se stessa. Gli USA hanno dovuto constatare l’impossibilità di un disegno egemonico a livello mondiale e la sterilità del tentativo di dividere gli europei. Per entrambi, la globalizzazione impone all’occidente unità se vuole mantenere influenza sull’emergente nuovo ordine multipolare. Lo spostamento del baricentro verso il pacifico richiede più e non meno solidarietà transatlantica. Del resto è importante che l’occidente sia pienamente consapevole dei suoi numerosi punti di forza e non solo della necessità di far posto ai nuovi attori. Tuttavia un’opportunità non è in sè una prospettiva nè, ancor meno, un progetto concreto. Il rischio che l’occasione sia persa, vittima di antiche diffidenze o di nuove tentazioni protezioniste, è ancora grande.
Gli Stati Uniti devono ancora comprendere che dialogare vuol dire anche ascoltare; non basta che l’arroganza si trasformi in cordiale condiscendenza. Il multilateralismo non si esaurisce nella creazione di strutture collettive, ma richiede la piena disponibilità a sottoporsi, come un “primus inter pares” alle regole e ai vincoli comuni. Vero a livello mondiale, ciò lo è ancor più per il rapporto transatlantico. Negli ultimi anni Europa e Stati Uniti si sono dedicati ad una accanita concorrenza reciproca sulle regole nel campo finanziario, industriale e ambientale. I paesi emergenti non sono più disposti a subire passivamente le regole imposte dall’occidente, ma non sono ancora sufficientemente maturi e sicuri di sè per proporre le proprie; questa situazione non durerà a lungo. L’occidente potrà mantenere l’iniziativa solo se presenterà ai paesi emergenti una visione unitaria. Oltre un anno fa il governo tedesco aveva proposto una forte iniziativa transatlantica in questo senso, che fu fatta cadere dagli americani; la crisi attuale la rende ancora più urgente e opportuna. Ancora però non si vede nella nuova amministrazione americana chi può avere l’ambizione, persa dai tempi di Kennedy, di trasformare l’alleanza in partnership.
L’ Europa deve invece essere consapevole che l’aver avuto ragione in molte analisi politiche ed economiche può condurla ad un’illusoria sensazione di superiorità intellettuale e morale. L’indebolimento dell’egemonia americana non elimina la fondamentale asimmetria del rapporto: sul piano strategico e militare innanzitutto, ma anche su quello economico. Vivere questa asimmetria in modo costruttivo non è semplice, specie per quei paesi che mantengono nel loro DNA nazionale l’ambizione ad un ruolo mondiale. Inoltre l’Europa deve comprendere che avere buone idee non conta nulla se non si è disposti ad assumersi maggiori responsabilità: questo vale sia per i rapporti economici, sia per quelli strategici e militari. Infine un nuovo rapporto transatlantico presuppone che l’Europa rafforzi la propria unità; non possiamo chiedere agli americani di tornare ad appoggiare un progetto unitario europeo a cui non dimostriamo di aderire concretamente. Deve quindi finire la ricerca in ordine sparso di “relazioni speciali” con gli Stati Uniti. Ecco quattro esempi.
Primo, la crisi finanziaria impone di riscrivere le regole internazionali. L’Europa non sarà credibile, né verso gli USA né verso il resto del mondo, se non comincerà mettendo ordine a casa propria e creando un’autorità comune preposta alla vigilanza dei mercati. In secondo luogo, la nuova architettura internazionale (per esempio il nuovo “Gx” che si delinea) non potrà essere efficiente se continua il poco edificante spettacolo della pletora di partecipanti europei spesso scoordinati fra loro e preoccupati solamente di conservare la propria poltrona. La decisione di promuovere una rappresentanza unica, eventualmente cominciando dall’eurozona, costituirebbe un fondamentale contributo alla riforma del sistema; sarebbe un rafforzamento e non un indebolimento dell’influenza europea. In terzo luogo, non basta chiedere agli Stati Uniti di recedere da scelte sbagliate rispetto alla Russia e al Caucaso; l’Europa deve essere in grado di definire una politica unitaria che tenga conto sia degli interessi della Russia, sia di quelli americani. Infine, l’Europa deve essere pronta a dare un contributo maggiore sul piano militare; non può continuare a credere di essere il “gigante buono” che scarica sugli USA la responsabilità dell’eventuale e sempre possibile uso della forza. L’attuale situazione economica e lo stato dell’opinione pubblica rendono irrealistico pensare ad un sostanziale aumento delle spese militari. Tuttavia si può fare molto per quanto riguarda la cooperazione industriale, la razionalizzazione delle forze e il coordinamento delle loro modalità d’impiego.
La strada per costruire una partnership matura è quindi ancora lunga, ma è urgente percorrerla con determinazione. È necessaria soprattutto la consapevolezza reciproca che i limiti della nostra forza possono essere superati solo con un più stretto rapporto transatlantico. Il rapporto andrà ricostruito giorno per giorno e con pazienza. Insieme potremo forse definire le soluzioni, ma l’agenda ci sarà dettata da eventi imprevedibili: un nuovo devastante attacco terroristico, il collasso politico o finanziario di un paese particolarmente fragile, una nuova mossa avventata della Russia o della Georgia (o di entrambe). La lista degli eventi capaci di distogliere l’attenzione dei nostri leader dai problemi interni è lunga: ogni imprevedibile problema costituirà un’opportunità e un rischio per la nostra partnersship. Nel suo discorso al momento della nomina a Segretario di Stato Hillary Clinton ha detto che ” l’America non può risolvere i problemi senza il resto del mondo, ma il mondo non può risolverli senza l’America”. Da questa saggia formulazione era assente l’Europa. Riempire la lacuna è in primo luogo compito degli europei.