In Francia, il risultato delle elezioni anticipate resta imprevedibile. Nelle due settimane da quando Macron ha sciolto il parlamento, in seguito alla clamorosa sconfitta elettorale nei confronti del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella che ha stravinto le europee del 9 giugno, si sono delineati tre blocchi principali di orientamento di voto. Quello che fa riferimento alla destra radicale, composto dai candidati del Rassemblement National (RN) e dai Repubblicani della fazione di Eric Ciotti che li sostengono. Poi c’è il blocco della macronìa. E infine quello del Nuovo Fronte Popolare (FP), l’alleanza di sinistra tra radicali, verdi e socialisti, che ha come punti di riferimento Jean-Luc Mélenchon e il socialista Raphaël Glucksmann. Ecco quanto pesano secondo gli ultimi sondaggi.
Ai tre blocchi si aggiungono i Repubblicani che non si sono accordati con Le Pen (7%), la destra suprematista di Reconquête! (2%), qualche cespuglio di centro-sinistra (2%), ancora la destra sovranista (1,5%), e la sinistra rivoluzionaria (1,5%).
Sarà quindi questa la composizione del nuovo parlamento? No: la legge elettorale francese complica le cose. Non è proporzionale, ma maggioritaria, con il territorio diviso in collegi, ognuno dei quali eleggerà un deputato – a doppio turno, un po’ come i sindaci in Italia. Si tratterà dunque di 575 elezioni diverse. E non per forza il partito più votato sarà quello che ne vince di più. I blocchi di partenza contano, ma conta anche chi va al ballottaggio nei singoli collegi, la qualità e le caratteristiche dei candidati, e come si comporteranno gli elettori.
Per due ragioni principali, il favorito resta il Rassemblement National. Intanto perché è un partito ormai ben rappresentativo dell’intera società francese. Questo non vuol dire che “identifica” i francesi: alle europee il RN ha preso il 31%, ma con l’affluenza al 50% ciò significa poco più del 15% dei voti di tutti gli aventi diritto. Il punto è che gli altri partiti ne hanno ancora meno, e che quelli del RN sono ben distribuiti su tutti le categorie. Un tempo ad esempio era un partito dall’elettorato molto maschile; oggi invece è votato in egual misura da donne e uomini, già dalle presidenziali del 2022. Inoltre è votato in proporzione molto simile da tutte le diverse classi d’età.
Il partito di Macron, invece, riceve quasi la metà dei suoi voti dagli ultrasettantenni. Ed è questo uno dei motivi per cui non è ancora definitivamente tramontato: alle ultime elezioni europee, gli over 60 sono andati a votare al 70%. Gli under 35, quasi la metà: e la sinistra, che è la coalizione più votata tra i giovani e giovani adulti, ne soffre. Naturalmente una diversa distribuzione dell’affluenza, il 30 giugno, potrebbe influire sui risultati.
Oltre a spalmarsi su tutte le fasce d’età, il voto RN ormai tocca tutte le professioni – anche se in proporzioni diverse. Strabordante tra gli operai (53%), maggioritario tra gli impiegati-dipendenti (39%), ormai è presente anche tra i quadri e i dirigenti (20%). La spaccatura più grossa si conferma quella educativa, con i diplomati o meno che lo votano oltre il 40%, mentre i laureati o più al 16%. Di conseguenza, geograficamente, il voto RN continua a crescere soprattutto lontano dalle metropoli e dai centri medio-grandi (dove comunque resta sul 17-18% in media). Nessuno degli altri raggruppamenti politici ha un radicamento così orizzontale.
Il secondo motivo per cui l’estrema destra è favorita è la decisione di Macron intanto di indire le elezioni in un momento in cui questo partito è sulla cresta dell’onda – e tradizionalmente riceve i suoi migliori risultati proprio alle europee. Per di più di fretta (parlamento sciolto la sera del 9 giugno, elezioni indette per il 30), senza lasciare tempo al paese e alle forze politiche e sociali di discutere l’eventualità sempre più concreta di una maggioranza parlamentare di estrema destra. La decisione è tutta del Presidente: non l’ha anticipato nemmeno ai suoi alleati più stretti o al capo del governo, il pur obbediente Gabriel Attal, nominato solo sei mesi fa.
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Macron infatti è convinto che tra i tre poli di opinione sarà il suo a emergere. Charles De Gaulle nel 1968, dopo il maggio che fece sembrare la Francia sull’orlo della rivoluzione, indisse le elezioni anticipate e le stravinse, perché considerato garante dell'”ordine repubblicano”. Macron vuole proporsi alla stessa maniera; e considera la sua solitudine politica come una manifestazione di forza, superiorità, se non di infallibilità. “Ho già battuto Marine Le Pen due volte e lo farò ancora”, va ripetendo, dimenticandosi di aver perso, contro il RN, non solo queste europee ma anche quelle del 2019. E che una vittoria elettorale non è un’investitura imperiale, ma dipende spesso da contingenze e condizioni che cambiano. Oggi siamo molto lontani dalla primavera del 2022, quando si tenne l’ultima presidenziale, in piena ripresa post-covid, e poco dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, con Marine Le Pen decisamente ostacolata dalla sua grande amicizia con Putin. Due fattori sui quali oggi non può più contare.
Di conseguenza, Macron ha deciso di distanziarsi e attaccare con la stessa forza, non facendo differenze, sia il RN che il Fronte Popolare, “estremisti pericolosi che distruggeranno la Francia”. Cosa significa questo? Se i sondaggi sono corretti, ai ballottaggi dei singoli collegi arriveranno soprattutto candidati del RN e del FP; e se il 20% di elettorato che fa riferimento a Macron sarà egualmente motivato contro i due raggruppamenti, sarà difficile che al secondo turno si sposti tutto a sinistra, o che costituisca un blocco di opinione contrario all’estrema destra, com’è successo in passato altre volte. E ciò va a vantaggio del Rassemblement National. Si tratta di una scelta cruciale. Persino la nazionale di calcio francese impegnata agli Europei di calcio è divisa, con Kylian Mbappé che sostanzialmente ha adottato la posizione macroniana, e Marcus Thuram che invece ha invitato a fare “tutto” per fermare il RN.
La composizione della nuova Assemblea Nazionale è quindi incerta, ma sarà difficile che uno dei tre raggruppamenti abbia la maggioranza assoluta, da solo. Con la maggioranza relativa, il vincitore dovrebbe stringere degli accordi, con qualcuno dei cespugli se è fortunato, oppure con uno degli altri blocchi: in teoria, con quello di Macron, che è al centro. Ma tutto fa pensare che la tattica di macroniana “o me, o il caos” renderà impossibile ogni negoziato. D’altra parte, le fughe in avanti imprudenti e solitarie di Macron hanno fatto infuriare i suoi alleati centristi, come Edouard Philippe o François Bayrou (non lo vogliono nemmeno sui volantini di campagna, ma Macron risponde con i video), che potrebbero boicottare questa strategia. Il ministro degli Interni Darmanin, che preparava da anni le Olimpiadi di luglio, ha sbattuto la porta. Quello dell’Economia Le Maire, anello di congiunzione tra l’Eliseo e Bruxelles, è furibondo. Sanno bene che il posto l’hanno perso.
La nuova maggioranza dipenderà anche dal numero esatto di deputati che eleggerà ogni gruppo: numero che molti sondaggisti, proprio per l’incertezza della previsione, si rifiutano di stimare. In assenza di accordi di governo, il parlamento potrebbe essere sciolto dal Capo dello Stato ancora una volta, dopo un anno. Oppure il Presidente potrebbe dimettersi. Chi governerà il disordine in cui è piombata l’arena politica francese?