Sono passati più di sei anni e mezzo da quando Volodymyr Zelensky assunse l’incarico di presidente dell’Ucraina: era il 20 maggio 2019. Secondo la Costituzione il suo mandato sarebbe scaduto nella primavera del 2024, ma l’ex attore comico è ancora in carica, complice la guerra scatenata dalla Russia e la legge marziale che ha congelato nuove elezioni. Se la sua travolgente vittoria era stata una sorpresa assoluta, così come inattesa si era rivelata la sua risposta decisa all’invasione russa, subito dopo la quale la figura del presidente, dentro e fuori dal Paese, si è imposta come perno e punto di riferimento della resistenza, oggi la sua leadership è molto meno salda.
Il calo del consenso
Sono lontanissimi i tempi nei quali la popolazione lo apprezzava senza riserve, con punte di gradimento vicine al 90%. La realtà è che l’Ucraina, sfiancata da quasi quattro anni di durissima guerra, è molto vicina a perdere la pazienza nei confronti del suo presidente, soprattutto dopo lo scandalo corruzione che sta mettendo sottosopra il governo. Così, in quello che lo stesso Zelensky ha definito “uno dei momenti più difficili della nostra storia”, con gli Stati Uniti che spingono affinché Kiev accetti un accordo di pace che pare sbilanciato dalla parte russa, la pressione sul presidente ucraino è altissima, sia sul fronte politico che su quello militare, oltre che dal punto di vista personale.
Un sondaggio realizzato lo scorso ottobre dal KIIS, Kyiv International Institute of Sociology, mostra che la percentuale di ucraini che dichiarano di fidarsi di Zelensky sia oggi al 59%, il risultato più basso dal febbraio 2024. E’ vero che, per fare un raffronto, questa cifra è ben superiore a quella registrata dal presidente Trump negli USA, e da vari governi europei, ma ci sono altri dati rilevanti.
Parallelamente, infatti, i suoi potenziali rivali in un’eventuale corsa alla presidenza in caso di nuove elezioni, qualora Zelensky decidesse di ricandidarsi, continuano ad essergli preferiti. In tutti i sondaggi la figura di Valery Zaluzhny, l’ex generale oggi ambasciatore nel Regno Unito, tocca picchi di gradimento vicini al 70%. Proprio questa settimana peraltro Zaluzhny, sfruttando le recenti difficoltà di Zelensky, ha pubblicato sul Telegraph un intervento che sa molto di piano programmatico da presidente in pectore, in cui parla dei benefici della pace e di come uno stop al conflitto “anche in previsione della prossima guerra, offrirebbe un’opportunità di cambiamento politico, di riforme profonde, di piena ripresa e crescita economica e di ritorno dei cittadini costretti ad abbandonare il paese”.
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Allo stesso tempo, prosegue nella sua traiettoria ascendente il generale Kyrylo Budanov, a capo dell’intelligence e designato nuovo capo di gabinetto dell’ufficio presidenziale in sostituzione del dimissionario Yermak: secondo le rilevazioni più recenti dello stesso KIIS, così come del SOCIS (altra società di investigazione statistica ucraina), Budanov avrebbe la meglio su Zelensky in un eventuale ballottaggio. Il clima che si respira intorno alla figura di Zelensky oggi è un misto di delusione, rassegnazione e voglia di provare a credere ancora a un leader che può comunque continuare a giocarsi il bonus di credibilità conquistatosi in questi anni, durante i quali è rimasto al comando del Paese con una dignità e una risolutezza che gli sono ormai universalmente riconosciute.
Un segnale di come il vento stia cambiando è testimoniato anche dalle proteste di piazza che, negli ultimi mesi, per la prima volta dall’inizio della guerra, sono scoppiate in tutte le grandi città ucraine. A luglio scorso le massicce manifestazioni contro il tentativo del governo di esautorare il NABU, l’Agenzia Nazionale Anti-Corruzione, avevano rappresentato un duro colpo all’immagine di Zelensky, che infatti era stato costretto a fare marcia indietro, di fatto ritirando il provvedimento con il quale, attraverso il voto parlamentare, aveva fortemente ridimensionato i poteri dell’Agenzia. La giustificazione fornita per la misura riportava a una supposta collaborazione degli investigatori del NABU con politici filo-russi latitanti e con il Cremlino. Zelensky aveva la convinzione che a Bruxelles l’immagine di eventuali disordini interni sarebbe stata eclissata dalla priorità di rimanere compatti contro l’aggressore russo, così come immaginava, sbagliando, che la popolazione, stremata dalla guerra, non avrebbe fatto troppa attenzione al suo tentativo di riformare, diminuendone l’influenza, il NABU. Non aveva fatto bene i suoi conti.
Dall’UE infatti sono subito arrivate reazioni molto negative, mentre in tutta l’Ucraina si scendeva in piazza per protesta. Risultato: Zelensky non solo ha dovuto annullare il provvedimento, ma non è nemmeno riuscito a limitare i danni sul fronte della reputazione, con una parte molto consistente dell’opinione pubblica ucraina, così come della politica europea, che ha cominciato a percepire l’attacco frontale di Zelensky al NABU come un tentativo, maldestro, di proteggere la sua cerchia ristretta da eventuali indagini.
La corruzione nel governo
Da lì a poco, infatti, è diventato pubblico il fascicolo attraverso il quale il NABU ha rivelato come Timur Mindich, uomo d’affari vicinissimo a Zelensky, un tempo sodale dell’oligarca Ihor Kolomoisky (ora in custodia cautelare con l’accusa di frode e appropriazione indebita) sarebbe il protagonista di uno scandalo corruzione da 100 milioni di dollari, nel quale sono stati coinvolti anche la ministra dell’Energia Svitlana Grynchuk e quello della Giustizia German Galushchenko, che poi si sono dimessi.
Secondo il NABU Mindich, e con lui un nutrito gruppo di funzionari e imprenditori allacciati al governo, ha utilizzato l’azienda statale Energoatom, il più grande produttore di energia elettrica dell’Ucraina, per costruire una fitta rete di corruzione. Per poter entrare nella rete commerciale di Energatom, le aziende erano costrette a pagare tangenti, denaro poi riciclato attraverso una rete finanziaria nella quale, fra gli altri, sembra siano coinvolti anche l’ex vice primo ministro Oleksiy Chernyshev, altro membro della cerchia più vicina a Zelensky (la moglie di Zelensky è la madrina del figlio di Chernyshev), l’ex ministro della difesa Rustem Umerov e, soprattutto, Igor Mironyuk.
La figura di Mironyuk, agli occhi dell’opinione pubblica, è quella che danneggia maggiormente Zelensky. Ex consulente del ministero dell’Energia ucraino, Mironyuk è un collegamento diretto ad Andrei Derkach, già figura chiave di Energoatom per un decennio e oggi parlamentare alla Duma, a Mosca, dopo essere scappato da Kiev nel 2022. Se c’è infatti una cosa che gli ucraini non sono disposti a perdonare, è scoprire che membri del governo, o comunque personaggi che gravitano ad alti livelli intorno ad esso, abbiano agito nell’orbita di influenza russa, ai danni dell’Ucraina.
In questo caso, il coinvolgimento di Mironyuk è forse quello più delicato in quanto, come risulta da intercettazioni, documenti e numerosissime prove fattuali, da braccio operativo del network di corruzione, gestiva l’ufficio ombra ideato da Mindich per incassare e riciclare le tangenti, utilizzando locali riconducibili alla famiglia Derkach. Insomma, non una situazione semplicissima: Zelensky dopo l’esplosione dello scandalo è rimasto schiacciato fra la richiesta di dimissioni del governo (respinta) arrivata da parte dei tre partiti di opposizione, (Holos, Solidarietà Europea, Patria), con la proposta di formare un esecutivo di unità nazionale, e i mugugni interni al suo stesso partito, Servitore del Popolo.
La cerchia del presidente
Il caso Yermak è senza dubbio esemplare quando si riflette sulla poca fiducia riposta da una fetta importante della popolazione ucraina nei confronti dei più stretti collaboratori di Zelensky. L’ex capo di gabinetto dell’ufficio presidenziale ucraino, dimessosi il 28 novembre dopo una serie di perquisizioni nelle sue abitazioni arrivate su richiesta delle due principali agenzie nazionali anticorruzione ucraine, Nabu e Sapo, nell’ambito dell’inchiesta sullo scandalo corruzione, già da era nel mirino di opinione pubblica e di diversi esponenti dello stesso partito di Zelensky, irritati dall’influenza sempre più dominante esercitata da Yermak, vero e proprio simbolo della cerchia raccoltasi intorno a Zelensky in questi anni, nella quale un numero molto ristretto di persone ha accentrato un potere ben più grande di quello detenuto dal parlamento e anche dal governo stesso. Ex produttore cinematografico, amico fraterno di Zelensky, la figura di Andrii Yermak è percepita in maniera molto controversa in Ucraina, ed è vista con crescente scetticismo anche all’estero.
Secondo un sondaggio della primavera 2025 pubblicato del Centro Razumkov, solo il 17.5% degli ucraini si fida di lui, mentre in una rilevazione ancora più recente, realizzata lo scorso settembre dal portale indipendente New Voices of Ukraine, il 33% della popolazione lo pone al primo posto di una speciale classifica nella quale sono elencate le figure che danneggiano maggiormente l’immagine di Zelensky. L’influenza di Yermak andava decisamente oltre il suo ruolo di capo di gabinetto, estendendosi, ad esempio, alla diplomazia internazionale, di cui è stato il punto di riferimento, peraltro mettendo all’angolo il servizio diplomatico ucraino di carriera, trasformatosi in semplice accessorio amministrativo.
Onnipresente, Yermak non gode di grande reputazione nemmeno all’estero, tanto a Bruxelles quanto a Washington. Secondo una buona parte dell’opinione pubblica ucraina è difficile, se non impossibile, come ha spiegato recentemente in un’intervista al giornale Kyiv Independent Daria Kaleniuk, direttrice esecutiva della ONG Ukraine Anti-Corruption Action Center, che un personaggio influente come Yermak fosse completamente all’oscuro di un sistema di corruzione di così vasta portata come quello che ha travolto Mindich e la sua cerchia. Eppure, nonostante questo, e nonostante le straordinarie pressioni arrivate sia dal suo partito, che dalla società civile, senza contare i numerosi segnali lanciati dagli alleati internazionali, Zelensky ha deciso di confermarlo ancora fino a pochi giorni fa, nominandolo nuovamente a capo della delegazione internazionale ucraina per il vertice USA-UE-Ucraina di Ginevra in novembre, fino alle dimissioni del 28 novembre.
La delicata situazione al fronte
Il momento di massima pressione su Zelensky è legato, naturalmente, anche alle vicissitudini militari. L’opaca stesura del più recente piano di pace realizzata dall’amministrazione Trump, in sostanziale coordinamento con le autorità russe, tiene infatti evidentemente conto della complessa situazione sviluppatasi sul fronte di guerra nel corso delle ultime settimane, con la Russia che ha lanciato una nuova, pesante, ondata di attacchi, esponendo le debolezze della difesa ucraina: la battaglia di Pokrovsk, da questo punto di vista, è eloquente. Per quasi diciotto mesi ormai questa città industriale del Donbass è stata teatro di asprissime battaglie. Prima della guerra la popolazione della città si attestava intorno ai 60000 abitanti, mentre oggi ne restano poco più di 1000.
Conquistandola, la Russia avrebbe un vantaggio logistico decisivo per future offensive. L’esercito russo infatti controllerebbe l’autostrada M30 e uno snodo ferroviario chiave, che collega le città più a ovest dell’Oblast di Dnipropetrovsk, tra cui Dnipro, con le ultime roccaforti ucraine nell’Oblast di Donetsk a nord, come Kostiantynivka. Senza dimenticare che Pokrovsk è considerata la capitale mineraria del Paese in quanto a estrazioni di carbone e che dispone anche di una vasta rete mineraria sotterranea. Pokrovsk sarebbe la città più grande a cadere dai tempi di Bakhmut nella primavera del 2023 e la sua presa, oltre ad avere un valore strategico cruciale, andrebbe a intaccare il morale, già non altissimo, delle forze militari ucraine, stremate dalla campagna di logoramento della Russia.
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Secondo uno studio del Council on Foreign Relations, elaborato a partire dai dati dell’International Institute for Strategic Studies, la Russia può contare su 1,2 milioni di soldati sul campo, contro i circa 730.000 militari ucraini, e di un vantaggio enorme relativamente alla disponibilità di armi convenzionali: 15.000 carri armati russi contro 6.000 ucraini; 6.200 pezzi di artiglieria pesante contro 1.800; 2.000 missili terra-aria contro 400; 1.500 aerei caccia da combattimento contro 66. Le uniche due aree sulle quali c’è sostanziale parità, se non addirittura un lieve vantaggio ucraino riguardano le navi da combattimento, circa 40 per flotta, e i droni, con l’Ucraina che dovrebbe superare entro la fine del 2025 quota 4,5 milioni di dispositivi prodotti, contro i 3,5 milioni della Russia.
Sono elementi importanti, perché si inscrivono in un contesto nel quale le autorità ucraine devono confrontarsi con un numero di diserzioni crescente. Dall’inizio del 2022 ad oggi sono oltre 290.000, un numero enorme, i casi di diserzione registrati dalla Procura Generale Ucraina, per i quali sono stati o verranno aperti dei procedimenti penali. A questi si aggiungono 1,5 milioni di cittadini uomini che, secondo la stima della deputata ucraina Halyna Yanchenko, sono attualmente considerati “ricercati” dai Centri Territoriali di Reclutamento (TCC). Un ulteriore segnale rispetto alla gravità del fenomeno è poi arrivato lo scorso settembre, quando nel tentativo di dare una risposta legislativa alla carenza di uomini al fronte il governo, su proposta del presidente Zelensky, ha fatto approvare in parlamento una legge che prevede l’inasprimento della responsabilità penale nei confronti dei soldati in caso di disobbedienza.
La crisi energetica
C’è poi un ultimo ma non per questo meno importante elemento di pressione che presidente ucraino si trova a dover gestire, e riguarda la drammatica situazione energetica in cui versa il Paese. Secondo il think tank Green Deal Ukraina, da settembre ad oggi gli attacchi russi hanno causato danni catastrofici alle infrastrutture energetiche ucraine, distruggendo quasi il 70% della capacità di generare energia. La Russia infatti negli ultimi mesi ha colpito, con ondate devastanti, la rete di distribuzione, concentrandosi, per scelta tattica, su gas e riscaldamenti centralizzati: un cambio di strategia che ha devastato il 60% della produzione nazionale di gas e portato praticamente a zero l’operatività delle centrali termoelettriche, attraverso cui si riscaldava un terzo di tutto il territorio ucraino.
In una nazione che dipende, per l’80%, dalla fornitura centralizzata di gas sia per il riscaldamento che per l’acqua, sono numeri drammatici, mentre i russi stanno colpendo anche compressori, turbine, trasformatori, cavi, consci che la rete ucraina si basa principalmente su sistemi di trasmissione dell’energia a 330 e 750 kilovolt. Sono tensioni più elevate, e globalmente molto rare, rispetto a quelle, ben più basse, utilizzate in Europa, il che significa che l’Ucraina necessita di attrezzature che solo Russia, Corea del Sud e Stati Uniti, di fatto, possono fornire, con tutto ciò che ne consegue in termini di riparazioni e approvvigionamento. Vitaliy Zaichenko, responsabile di Ukrnergo, il gestore della rete elettrica statale, ha spiegato pochi giorni fa come l’azienda abbia praticamente esaurito tutti i pezzi di ricambio disponibili per la manutenzione.
Anche per questo, nel discorso alla nazione pronunciato il 21 novembre 2025 da Volodymyr Zelensky a poche ore dalla proposta di accordo di pace in 28 punti inviata da Trump, l’inverno è stato protagonista, con il difficile interrogativo posto dal presidente ucraino fra l’accettare un piano che sa di resa incondizionata e prepararsi a un inverno di freddo e di gelo.
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Stretto fra un alleato americano ormai evidentemente insofferente, una popolarità interna in ribasso, lo scandalo corruzione, alcune figure della sua cerchia sempre più ingombranti e chiacchierate, un fronte militare stremato, il crescente fenomeno delle diserzioni e una crisi energetica di dimensioni spaventose, lo spazio tattico e strategico a disposizione di Zelensky per uscire dall’impasse nella quale si è andato ad incastrare è davvero limitato.