Scenari di escalation nucleare: come gestire il rischio

Lo spettro dell’arma atomica accompagna l’invasione russa dell’Ucraina sin dal suo inizio a febbraio 2022. Infatti, Vladimir Putin e altri membri della cupola politico-militare russa hanno fatto ripetuti riferimenti più o meno indiretti al potenziale uso del vasto arsenale nucleare di Mosca.

Finora, la minaccia nucleare è stata ventilata dal Cremlino soprattutto per dissuadere Stati Uniti ed Europa dal sostenere la resistenza ucraina, ma il risultato è stato modesto. L’Occidente è rimasto infatti unito su una posizione in delicato equilibrio. Da un lato ha sistematicamente evitato un suo coinvolgimento diretto nella guerra, ad esempio non inviando truppe in Ucraina. Dall’altro lato la fornitura di equipaggiamenti militari (e di aiuti economici) è stata crescente in termini qualitativi e quantitativi, coordinata con Kiev, e accompagnata da intelligence e addestramento. In parallelo, sono progressivamente aumentate le sanzioni occidentali contro la Russia. Sebbene Stati Uniti ed Europa abbiano chiaramente appoggiato Kiev, il conflitto è rimasto così sostanzialmente circoscritto ai due belligeranti, nei confini ucraini internazionalmente riconosciuti compresa la Crimea (e le relative acque territoriali, e al piano convenzionale.

La minaccia nucleare di Mosca ha assunto un significato diverso alla luce degli sviluppi sul campo di battaglia da settembre in poi, con la controffensiva ucraina. La condizione delle forze russe impiegate in Ucraina peggiora costantemente in termini di mezzi, rifornimenti, logistica, addestramento, morale e leadership, per debolezze e limiti interni difficilmente risolvibili. Viceversa, con la fornitura di armi, intelligence ed addestramento occidentale la posizione delle forze ucraine si rafforza, il morale è galvanizzato dalle riconquiste territoriali, e la controffensiva conta sul sostegno della popolazione locale.

 

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Oggi e nel prossimo futuro la Russia si troverà quindi a difendere le zone occupate in Ucraina da una campagna condotta dalle forze di Kiev che ha concrete possibilità di successo. Zone nel frattempo formalmente annesse alla Federazione Russa, in aggiunta a quanto fatto con la Crimea nel 2014, tramite referendum-farsa che hanno tuttavia un valore giuridico, politico e simbolico per l’establishment russo. E’ quindi legittimo e opportuno domandarsi se, come e in quali casi Mosca potrebbe considerare di usare l’arma atomica per mantenere l’occupazione su parte dell’Ucraina.

Le opzioni a disposizione del Cremlino sono diverse, e a una razionale valutazione costi-benefici risultano tutte negative. La prima ipotesi consisterebbe nell’uso di un’arma nucleare tattica a scopo puramente dimostrativo, ad esempio nelle acque territoriali ucraine, con un numero di vittime molto limitato se non nullo. La seconda vedrebbe l’uso dell’atomica su obiettivi militari ucraini rilevanti per il fronte, con un effetto operativo immediato nel fermare la controffensiva di Kiev almeno in una certa regione. La terza ipotesi si tradurrebbe nell’uso di un’arma nucleare contro una grande città ucraina, per spezzare la volontà politica di combattere la guerra in corso.

La simulazione di una guerra nucleare tra Stati Uniti e Russia. Fonte: Science and Global Security

 

Tutte e tre le ipotesi romperebbero il tabù mondiale dell’uso delle armi atomiche che vige dal 1945, per di più sul continente europeo che è stato per decenni al centro della deterrenza nucleare e quindi del non-uso dell’atomica. Il fatto che si tratterebbe di armi tattiche montate su vettori con una gittata inferiore ai 500 km, ed una potenza limitata rispetto a quelle strategiche, non cambia lo scenario di un’esplosione atomica in Europa potenzialmente pari a tre volte quella di Hiroshima.

L’uso dell’atomica porterebbe conseguenze negative epocali, alcune certe o probabili e altre difficilmente prevedibili per la Federazione Russa. Tra le prime, il fatto che i territori ucraini eventualmente colpiti dall’esplosione nucleare sulla linea del fronte, nelle province annesse dalla stessa Russia, sarebbero distrutti e inabitabili a lungo. Inoltre, l’uso di testate tattiche sulle forze ucraine all’offensiva colpirebbe verosimilmente anche i difensori russi, con un ulteriore indebolimento del morale dell’apparato militare e della sua fedeltà al regime di Putin.

 

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A livello internazionale, le conseguenze per Mosca sarebbero difficili da prevedere con esattezza ma comunque devastanti. Gli Stati Uniti hanno giustamente mantenuto una certa ambiguità sulla risposta che darebbero all’uso di armi nucleari in Ucraina, applicando uno dei principi cardine della deterrenza ovvero quello di creare incertezza nel calcolo strategico avversario. Inoltre, hanno chiaramente messo sullo stesso piano di inaccettabilità qualsiasi utilizzo di atomiche tattiche, anche quello dimostrativo, fissando una “linea rossa” credibile tramite interventi pubblici con riferimenti drammatici come quello alla crisi dei missili di Cuba – in quel caso per bocca dello stesso Presidente Biden.

Poiché la deterrenza nucleare si gioca sul possesso e il non-uso di armi atomiche, la comunicazione tra le due parti ha un carattere strategico nell’influenzare il comportamento altrui, e si basa su linguaggi e prassi sviluppate in decenni di Guerra Fredda, di cui la Russia è ben consapevole. L’ambiguità statunitense lascia così la porta aperta a due ipotesi. Da un lato, attacchi con armi convenzionali contro l’apparato militare russo, di portata devastante e volti in primo luogo a colpire il sistema di comando e controllo e le infrastrutture del deterrente nucleare per evitarne un suo ulteriore uso. Dall’altro, l’ipotesi più estrema e meno probabile vedrebbe ad una risposta nucleare proporzionata, volta a ristabilire il tabù del “non-primo uso” senza tuttavia portare ad una successiva escalation.

In altre parole, tutte le opzioni sono sul tavolo statunitense – e della NATO, che come alleanza non controlla direttamente gli armamenti nucleari, ma certo ne discute e ne discuterebbe in qualsiasi scenario tra quelli ipotizzati. Tutti gli scenari sono dunque attentamente vagliati sia a livello nazionale che interalleato.

 

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In aggiunta ad una risposta militare statunitense, vi sarebbero reazioni anche dagli altri grandi attori internazionali rispetto alla guerra. Lo sdegno da parte occidentale – compresi Paesi asiatici come Giappone e Corea del Sud – porterebbe a sanzioni senza precedenti, finora evitate per legittime ragioni di sostenibilità socio-economica interna che andranno riconsiderate in caso di escalation nucleare. Al tempo stesso, il posizionamento di un attore chiave come la Cina, dell’India e di altri importanti Paesi attualmente non-allineati, cambierebbe in modo significativo perché verrebbe infranto l’intero impianto di non proliferazione mondiale, con il rischio concreto di una corsa all’atomica in Medio Oriente ed una maggiore incertezza sul non-uso del nucleare nel conflitto latente in Kashmir tra Pakistan e India. Pechino e altre capitali sono rimaste finora alla finestra dell’invasione russa dell’Ucraina, non aderendo al sistema sanzionatorio occidentale. Tuttavia la rottura del tabù nucleare e il rischio di un’escalation atomica, che metterebbe direttamente o indirettamente a rischio la loro sicurezza nazionale, porterebbe anche la Cina ed altri Paesi a mettere pressione su Mosca per una de-escalation. L’eventuale pressione cinese, aggiungendosi a quella occidentale, farebbe la differenza contro la sostenibilità dello sforzo bellico russo.

Si tratta di scenari ipotetici ed estremamente remoti, ma che per restare tali devono essere presi seriamente in considerazione dagli Stati Uniti e dagli alleati della NATO. Finora la valutazione prevalente da parte occidentale è che la Russia non userà armi nucleari per fermare la controffensiva ucraina nei territori occupati dopo il 24 febbraio 2022. Il sostegno militare all’Ucraina è quindi aumentato dopo i referendum farsa, mentre Kiev punta concretamente alla liberazione di Kherson, la capitale dell’omonima provincia meridionale a confine con la Crimea. Nell’ipotesi non irrealistica di un continuo indebolimento delle forze russe in Ucraina, non è escluso che la leadership ucraina cerchi di riconquistare il Donbass fino ai confini internazionalmente riconosciuti del Paese. A quel punto, di fronte ad un esercito russo in ritirata, si porrebbe per Kiev la questione della Crimea.

Per la Russia ovviamente si tratta di scenari sempre più negativi. Il ritorno ai confini del 24 febbraio segnerebbe il fallimento di una guerra costata decine di migliaia di vittime russe, una distruzione dell’apparato militare convenzionale tale da necessitare molti anni per essere superata, e tutti i sacrifici economici del caso. La perdita del Donbass controllato indirettamente dal 2014 renderebbe tale fallimento ancora più catastrofico, segnando l’incapacità russa di difendere i propri proxy persino dove si era istaurata da anni una repubblica separatista, con implicazioni significative per la situazione in Moldova e Georgia. Infine, un’eventuale messa in discussione del controllo russo della Crimea colpirebbe un bastione sul Mar Nero ritenuto storicamente strategico da Mosca.

Di fronte a questi scenari, quale sarebbe il calcolo strategico russo? Per ipotizzare delle risposte occorre necessariamente dare per scontato che la leadership del Cremlino si comporti in maniera razionale, seppure in base ad una propria percezione di interessi e minacce diversa da quella occidentale, e che vi sia una decisione condivisa dai vertici politici e militari dello Stato russo. In quest’ottica, va ricordato che all’inizio del 2022 la Federazione Russa in ambito ONU ha riaffermato, insieme agli altri Paesi ufficialmente dotati di armi nucleari e membri del Consiglio di Sicurezza, il principio che “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”. Ciò non esclude tuttavia un ricorso al primo uso del nucleare. La consolidata dottrina russa prevede l’utilizzo di armi atomiche solo a determinate condizioni, ma nel 2020 è stata modificata con un riferimento ambiguo all’integrità territoriale russa, e da febbraio diversi esponenti politici vi hanno fatto riferimento. In ogni caso, la condizione dell’arsenale nucleare russo – ad esempio delle testate separate dai vettori – non è cambiata negli ultimi mesi verso un livello più elevato di prontezza.

L’interrogativo di fondo è se la leadership del Cremlino continuerà a ritenere non conveniente il primo uso dell’arma atomica di fronte ad una eventuale avanzata ucraina prima fino ai confini del 24 febbraio 2022, poi in Donbass e infine, nell’ipotesi migliore per Kiev, in Crimea. Nei primi due passaggi, la probabilità che ciò avvenga è maggiore che nel terzo. Come durante la Guerra Fredda, le credibilità della reazione occidentale all’utilizzo russo dell’atomica, e quindi di conseguenze per la Russia ben più devastanti della sconfitta in Ucraina, è cruciale per far sì che tale primo uso non avvenga.

 

 

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