L’Ucraina dopo tre anni di guerra

Che tipo di anniversario è per l’Ucraina questo 24 febbraio 2025? Sono passati tre anni dall’invasione russa che ha improvvisamente sconvolto la vita di milioni di persone costringendole a lasciare le proprie case, a vivere negli scantinati, a fuggire all’estero. Molti sono morti per i bombardamenti o sono rimasti invalidi. Per molto tempo si è parlato della vittoria di Kiev e di un futuro in Occidente come membro valoroso dell’Unione Europea e nel nuovo esercito della Nato.

 

La svolta di Trump

Oggi, di quella narrativa non resta nulla. Donald Trump e i suoi fedelissimi hanno definitivamente chiuso le porte del Patto Atlantico per il Paese est-europeo. La vittoria è menzionata solo nel piano di pace elaborato dall’amministrazione ucraina: quel Victory plan che ormai nessuno prende più seriamente in considerazione. A un mese dall’insediamento della nuova amministrazione statunitense si sono già organizzati i primi colloqui ufficiali con una delegazione russa e «presto», secondo le parole di Vladimir Putin e di Donald Trump, si attende un incontro tra i due presidenti. L’Ucraina in questo contesto è una moneta di scambio utile ai rispettivi interessi di Washington e di Mosca. Il governo di Kiev e la popolazione civile, invece, vivono questo periodo con il fiato sospeso cercando di immaginare che tipo di futuro sarà riservato al loro Paese.

Un bombardamento russo su Sumy il 30 gennaio, con 11 morti

 

L’inattesa accelerazione dei contatti diplomatici tra Trump e Putin ha portato una nuova consapevolezza ai soldati di stanza lungo il fronte del Donbass: le promesse dell’Occidente possono anche deludere. I video pubblicati su Telegram che mostrano militari ucraini intenti a rompere o addirittura bruciare oggetti con la bandiera a stelle e strisce sono solo il primo segno di una rabbia che è destinata a crescere. L’atteggiamento di Donald Trump verso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e di rimando verso i soldati ucraini, del resto non migliora la situazione. Per il presidente americano  Kiev ha la sua parte di responsabilità per il conflitto in corso, «non ha fatto nulla negli ultimi tre anni per interrompere la guerra» e ora si «lamenta di non essere stata invitata a Riad» (dove si sono svolti i colloqui preliminari Usa-Russia), invece di ringraziare Washington.

 

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Zelensky ha provato in tutti i modi a non arrivare allo scontro diretto con la Casa Bianca, ma a quel punto non poteva tacere. E, infatti, «con tutto il rispetto per il popolo americano», il leader est-europeo ha dichiarato che «il presidente Trump vive in una bolla di disinformazione russa». A quel punto, Trump ha alzato ulteriormente i toni. Da “baluardo della democrazia e dei valori occidentali”, così com’era presentato dall’amministrazione di Joe Biden, il carismatico capo di stato ucraino è stato apostrofato nel peggiore dei modi: «dittatore e comico mediocre».

Trump ha voluto colpire il suo omologo politicamente e professionalmente, utilizzando una strategia comunicativa che ben conosciamo, perché l’ha già impiegata sia in campagna elettorale sia durante i processi che l’hanno visto imputato nei quattro anni scorsi, volta a screditare totalmente l’avversario ancora prima dello scontro. Zelensky sarebbe un dittatore perché non ha indetto elezioni nonostante il suo mandato sia finito e perché, secondo Trump, ha paura di perdere il posto dato che al momento la sua popolarità in patria sarebbe al 4%. Tale cifra non è confermata da nessun istituto di statistica accreditato, ma si tratta di una stima propagandistica che circola su alcuni canali Telegram filo-russi che il presidente americano non si è fatto scrupolo a usare nonostante la sua totale infondatezza. I sondaggi ucraini dicono che Zelensky è effettivamente calato di molto nel gradimento popolare, ma che al momento si attesterebbe intorno al 52%.

 

Obiettivo Zelensky

Ma l’attacco è tutt’altro che gratuito. Uno degli obiettivi dichiarati dell’operazione militare speciale, come la definiva l’entourage di Putin prima di dover riconoscere che si trattava di una guerra in cui l’esercito di Mosca si era impantanato, era il rovesciamento del «regime neo-nazista» di Kiev, di cui Zelensky è il capo. Un presidente «illegittimo» secondo il Cremlino – e anche in questo caso non esistono giustificazioni plausibili per questa tesi: Zelensky è stato regolarmente eletto – la cui firma sotto un eventuale cessate il fuoco sarebbe addirittura irricevibile.

L’unico fatto, sul quale di recente hanno iniziato a insistere anche i fedelissimi di Trump ed Elon Musk su Twitter, è che il mandato del presidente ucraino è scaduto l’anno scorso ma data la persistenza della legge marziale non sono state indette elezioni. Fino a poco tempo fa sembravano tutti concordi nel dichiarare che con una guerra in corso, i bombardamenti e la situazione complessiva dell’Ucraina (che ha milioni di rifugiati all’estero e milioni di cittadini sotto occupazione russa) fosse quasi impossibile indire elezioni regolari. Il premier britannico Keir Starmer ha ricordato che anche nel Regno Unito non si sono tenute elezioni durante la II Guerra Mondiale.

Tuttavia, molti degli attori coinvolti nella fase attuale tentano di veicolare l’idea che questi distinguo non esistono e che Zelensky non voglia chiamare l’elettorato alle urne per un suo tornaconto personale. Perciò è plausibile ritenere che i negoziatori americani abbiano pensato bene di eliminare il problema alla base: se Putin non vuole più avere Zelensky come controparte si farà in modo di allontanarlo. Come? Imponendo a Kiev l’indizione di elezioni parlamentari e presidenziali subito dopo la firma del cessate il fuoco e comunque non oltre la fine del 2025 – e facendo in modo che Zelesnky le perda.

 

Le risorse ucraine

Un’altra condizione che in questi giorni occupa ogni dichiarazione pubblica di Washington sulla crisi in Europa orientale è il cosiddetto Accordo sulle terre rare. Se ne è iniziato a parlare ufficialmente il 16 ottobre scorso, quando Zelensky ha presentato il suo «piano per la vittoria» alla Verkhovna Rada, il parlamento ucraino. Ai primi posti delle possibili monete di scambio con l’Occidente per le garanzie sulla Difesa e la fornitura di più armi c’erano le risorse minerarie ucraine. «L’Ucraina detiene risorse naturali, tra cui metalli e terre rare, per un valore di migliaia di miliardi di dollari. Abbiamo uranio, titanio, litio, grafite e altre risorse strategiche e di enorme valore che intensificheranno la competizione globale». Neanche un mese dopo Kiev ne ha iniziato a parlare con lo staff di Trump che ora sembra non volere altro.

 

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Il presidente americano ne parla tutti i giorni, in toni aspri e perentori: «abbiamo speso 4-500 miliardi di dollari per l’Ucraina [si tratta di una cifra gonfiata di almeno 3-4 volte, secondo le stime – ndr], ora dobbiamo rientrare di quelle spese in qualche modo». Dunque è stata redatta una bozza di accordo che Kiev avrebbe dovuto firmare già due settimane fa, quando il neo-segretario del Tesoro, Scott Bessent, si è recato nella capitale ucraina convinto di poter ottenere un rapido successo. Il ministro repubblicano è invece tornato indietro a mani vuote e ad oggi l’accordo non è ancora definitivo, anche se si ritiene che questa impasse non durerà ancora a lungo.

Il punto è che, stando a quanto scritto dal quotidiano britannico The Telegraph che ha avuto modo di visionare una bozza dell’accordo in esclusiva, per Kiev si tratterebbe di un vero e proprio suicidio commerciale. «Gli Usa prenderanno il 50% dei ricavi ricorrenti ricevuti dall’Ucraina dall’estrazione delle risorse e il 50% del valore finanziario di ‘tutte le nuove licenze rilasciate a terzi per la futura monetizzazione delle risorse» scrive la testata londinese. La quale dopo aver paragonato le richieste di Trump e aver notato che sono meno dure di quelle imposte alla Germania e al Giappone dopo la capitolazione nella II Guerra Mondiale, chiosa: «i termini del contratto approdato nell’ufficio di Volodymyr Zelensky equivalgono alla colonizzazione economica dell’Ucraina da parte degli Stati Uniti, in perpetuo. Implicano un onere di riparazione che non potrà mai essere raggiunto». Stando al Wall Street Journal dopo il primo diniego ucraino l’amministrazione Trump avrebbe acconsentito a mitigare qualche punto della bozza, ma la sostanza resterebbe invariata. Washington vuole la ricchezza del sottosuolo di Kiev ed è disposta anche a minacciare la sospensione dei servizi internet di Starlink (il servizio di Elon Musk dai quali i militari ucraini ormai dipendono) se Zelensky non dovesse firmare.

La dinamica al fronte e le regioni occupate

Intanto al fronte la guerra continua e l’esercito russo mantiene l’iniziativa nel Donetsk meridionale dove attualmente sono aperte diverse direttrici d’avanzamento, in modo particolare su Pokrovsk, Andriivka e Kostiantinivka. La nuova strategia russa tenta di sfruttare la schiacciante superiorità numerica il più possibile per circondare i difensori e costringerli a indietreggiare per non essere presi in trappola. Laddove ha funzionato i russi son avanzati anche di decine di chilometri negli ultimi mesi. In altri punti, come a Pokrovsk, l’avanzata si è impantanata e si è creata una situazione simile a quella di Mariupol, Bakhmut o Avdiivka in precedenza.

Per gli ucraini, di contro, l’ordine è tenere le posizioni il più possibile perché è chiaro che ogni centimetro conterà quando i veri negoziati con la Russia si apriranno. Nell’attesa di questa nuova fase diplomatica il governo di Zelensky ha ben poche carte per convincere Trump a cambiare rotta. Le terre rare sono una di queste ma non è detto che il tycoon si accontenterà di stabilire un protettorato economico sull’Ucraina.

La rinuncia, almeno temporanea, al reintegro dei territori occupati dalla Russia sarà un’altra delle condizioni. Putin su questo non transige: Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson sono ora parte della Federazione Russa. Poco (gli) importa se questi territori, tranne il Lugansk, non sono affatto occupati interamente dalle sue truppe, e se in alcuni punti si combatte duramente. Il compromesso più plausibile secondo gli analisti è che i territori occupati siano lasciati sotto il controllo russo ma senza alcun cambiamento ufficiale nei confini. In altri termini si attuerebbe quel «congelamento degli schieramenti lungo la linea del fronte» che più volte è stato evocato come soluzione deprecabile e che ora invece sembra inevitabile.

All’Ucraina sarebbe “offerta” la speranza di poter risolvere la questione diplomaticamente in futuro e Zelensky, o chi per lui, potrebbe così tentare di indorare la pillola alla popolazione dopo aver raccontato per anni che l’integrità territoriale era la conditio sine qua non per la firma di qualsiasi accordo. I generali ucraini speravano di scambiare il Kursk, la porzione di regione russa occupata con una mossa a sorpresa lo scorso agosto e finora tenuta come una possibile «moneta di scambio» in vista dell’apertura nei negoziati. Ma il Cremlino è stato categorico: «nessuno scambio». Kursk sarà riconquistata militarmente, tuttavia bisogna riconoscere che finora i tentativi russi, persino mediante l’impiego del contingente nord-coreano, sono andati piuttosto male.

L’Unione Europea in questo clima non si trova a suo agio. Innanzitutto perché è stata messa da parte da Trump che non intende neanche farla sedere al tavolo dei negoziati con la Russia. In secondo luogo perché l’Ucraina sta assumendo un valore di prova definitiva per Bruxelles. Quale alternativa riusciranno a mettere in campo i 27 dopo aver parlato per anni di «Ucraina come parte della famiglia europea» e «difesa dalla barbarie russa ai confini dell’Europa»? Al momento, al netto di molte dichiarazioni allarmate, non c’è stato un vero cambio di prospettiva.

Si continua a vagheggiare l’invio di un contingente di pace dell’UE ma i problemi tecnico/logistici sono talmente tanti (a cominciare dal fatto che non c’è nessun contingente pronto a partire) che finché non si assiste a un progresso significativo in tal senso è inutile parlarne. L’Unione voterà a breve altri pacchetti di aiuti economici per Kiev: al momento è il massimo della concretezza che gli europei possono offrire a Zelensky. Ma non è abbastanza, l’ombra di Trump si è già allungata fino a Mosca e l’intera Ucraina rischia di esserne oscurata.

 

 

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