Presentandosi al Parlamento europeo la nuova Presidente Ursula von der Leyen ha esposto un programma ritenuto profondamente europeista.
Tra le proposte più ambiziose in campo economico vi è quella di costruire un “regime europeo di riassicurazione delle indennità di disoccupazione”, per sostenere l’economia in caso di shock esterni. In un discorso programmatico che riprende molte delle iniziative della Commissione Juncker, si nota però l’assenza di riferimenti alle riforme della governance dell’eurozona: parliamo di quei propositi annunciato dal Presidente nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del settembre 2017, che poi si erano tradotti in un’articolata serie di proposte presentate dalla Commissione insieme al nuovo quadro finanziario pluriennale nel maggio del 2018. Il dibattito è stato poi arricchito dalla proposta franco tedesca sulla creazione di un bilancio dell’eurozona.
Un momento di svolta è giunto nell’Eurogruppo (riunione dei ministri dell’Economia dei paesi che adottano l’euro) del 13 giugno del 2019, le cui conclusioni sono state sostanzialmente approvate dai capi di Stato e di governo nell’Eurosummit (riunione dei capi di Stato e di governo dei paesi che adottano l’euro), la settimana seguente. Un passaggio che ha dunque coinciso con il momento in cui Parlamento e Commissione erano massimamente deboli, alla vigilia del voto per il loro rinnovo.
In questo frangente l’Eurosummit – è bene ricordare, un’istituzione non prevista dai Trattati europei, ma disciplinata dal cosiddetto Fiscal compact del 2012, che sfugge al controllo del Parlamento europeo – ha sostanzialmente asseverato un ampio accordo raggiunto nella sede dell’Eurogruppo su elementi essenziali della riforma dell’eurozona: una revisione del trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (MES) e la creazione di uno strumento di bilancio per la convergenza e per la competitività (che dovrebbe sostenere le riforme strutturali e gli investimenti pubblici negli stati membri).
Sul primo elemento (il MES) il consenso che si è registrato nell’Eurogruppo è su un preciso articolato: un testo che modifica in vari aspetti il trattato istitutivo del MES e che è sostanzialmente pronto per la firma. Sulla riscrittura di un accordo internazionale, che è al di fuori del quadro normativo dell’Unione, si è dunque registrata una svolta rispetto alla quale sarà difficile tornare indietro. Viene invece sostanzialmente archiviata la proposta, che pure era stata presentata dalla Commissione Juncker, di incorporare il MES nel sistema istituzionale previsto dai trattati (istituendo con un regolamento un Fondo monetario europeo nel quale far refluire funzioni e risorse dello stesso MES).
Al contrario, la bozza che l’Eurogruppo ha condiviso attribuisce innanzitutto una nuova funzione al MES: la garanzia (backstop) al Fondo di risoluzione unico delle banche (che nelle intenzioni della Commissione avrebbe dovuto essere attribuita allo stesso MES ma nelle nuove vesti “comunitarizzate” di Fondo monetario europeo). Il MES – ripetiamo, organo al di fuori del quadro giuridico dell’Unione – diviene così uno strumento per completare l’unione bancaria, la realizzazione forse più significativa dell’Unione europea dopo la grande crisi del 2008.
Funzioni e processi decisionali
Nella bozza di Trattato si sottolinea la differenza dei ruoli svolti dalla Commissione europea e dal MES e si evidenzia però (par. 5 a del preambolo) come la “condizionalità” rimane underlying principle del Trattato MES e degli strumenti del MES anche perché, a differenza della Commissione europea, “the ESM performs its analysis and assessment from the perspective of a lender” (par. 5 b del preambolo). Ciò prefigura un ruolo rilevante nella governance economica dell’Unione.
Secondo l’articolo 3, al MES viene assegnato il compito di valutare la sostenibilità dei debiti pubblici dei paesi dell’eurozona e più in generale di svolgere un’analisi della loro situazione macroeconomica e finanziaria. Vi è una sovrapposizione evidente con le funzioni attribuite dai trattati e dalla legislazione europea alla Commissione. La novità appare così dirompente che la stessa bozza di Trattato precisa come questa attività venga dal MES svolta where relevant in order to internally prepare and enable it to appropriately and in a timely manner pursue the tasks conferred on it by this Treaty. Sempre con l’obiettivo di non incidere sulle funzioni dell’Unione europea e dei suoi organi, si precisa poi che to this end, the Managing Director shall collaborate with the European Commission and the ECB to ensure full consistency with the framework for economic policy coordination provided for in the TFEU.
Occorre tenere presente che il MES nasce come strumento non dell’Unione ma “degli Stati la cui moneta è l’euro”, sulla base di un accordo internazionale che ne disciplina l’ampia dotazione finanziaria nonché le modalità di funzionamento, tutte nelle mani degli Stati membri. Le decisioni più importanti del MES sono prese dal Consiglio dei governatori (composto dai Ministri delle finanze dei paesi appartenenti all’area euro, ai quali il Commissario europeo competente come anche il Presidente della BCE si aggiungono solo come “osservatori”) “di comune accordo”, e cioè all’unanimità. Di comune accordo devono essere prese le decisioni riguardanti la concessione di assistenza finanziaria a paesi in difficoltà, quelle relative alle modalità e alle condizioni dell’assistenza, come anche quelle relative alla gamma degli strumenti utilizzati. Strumenti che – sempre se vi è il comune accordo – possono essere anche nuovi e ulteriori rispetti a quelli previsti dal Trattato. In ogni caso, per qualunque decisione è necessaria “la presenza di un quorum di due terzi dei membri aventi diritto di voto che rappresentino almeno i due terzi del diritto di voto”.
Il diritto di voto è suddiviso tra i Paesi dell’eurozona sulla base del contributo percentuale che ciascuno stato dà a questo fondo. Il contributo tedesco è oltre il 27%, quello francese oltre il 20, quello italiano pari quasi al 18. È possibile ricorrere a procedure di urgenza con un voto a maggioranza qualificata dell’85% dei voti. Così, tutti i paesi il cui contributo è superiore al 15% (Germania, Francia e Italia) sono in grado di bloccare simili decisioni; e la Germania da sola, insieme a un piccolo paese, può bloccare qualunque decisione, anche quelle adottabili a maggioranza semplice. Con una maggioranza qualificata, pari all’80% (che attribuisce un potere di veto solo a Germania e Francia) possono essere prese una serie di decisioni, tra queste: l’elezione del Presidente del Consiglio dei governatori, la nomina del Direttore generale oltre che l’approvazione dello statuto del MES.
Nell’ordinamento tedesco il ruolo dei rappresentanti (nel Consiglio dei governatori e in quello di amministrazione del MES) è considerato, addirittura, una proiezione diretta della rappresentanza politica nazionale. Il Tribunale costituzionale tedesco, nel considerare conforme alla legge fondamentale il trattato istitutivo del MES, ha infatti chiaramente precisato che tutti i componenti degli organi direttivi (Governatori e Direttori del MES) “sono responsabili verso i rispettivi Parlamenti nazionali” (sentenza del Tribunale costituzionale tedesco del 18 marzo 2014, così par. 242). Ogni decisione dei rappresentanti tedeschi nel Consiglio dei governatori e in quello di amministrazione del MES è dunque esercitata sulla base di una diretta responsabilità verso il Bundestag, cui viene garantita dalla legge (ESM-Finanzierungsgesetz) una completa informazione che riguarda anche aspetti che, secondo il Trattato, sono coperti dal segreto di ufficio. Senza l’approvazione preventiva dell’Aula o della Commissione bilancio del Bundestag, il rappresentante del governo tedesco non può assumere nessuna decisione rilevante nel Consiglio dei governatori o in quello di amministrazione. È un modello questo che è stato seguito anche da altri paesi (la Finlandia e la Lettonia, ad esempio) che non dispongono tuttavia, come invece la Germania, di un potere di veto su tutte le decisioni rilevanti[1] del MES.
Un Direttore Generale rafforzato e lo strumento dell’assistenza finanziaria
Scorrendo le modifiche proposte al Trattato emerge un ruolo rafforzato del Direttore generale (Managing director) – come detto, nominato dal Consiglio dei Governatori a maggioranza qualificata e dell’80% dei voti, il che dà sia alla Germania sia alla Francia un potere di veto. Direttore che, come precisato al paragrafo dell’articolo 7, shall be responsible only to the ESM and shall be completely independent in the performance of their duties. Questa previsione rimarca l’autonomia del Direttore generale rispetto all’ordinamento dell’Unione europea; un’autonomia per certi versi confermata dalla modifica al paragrafo 7 del preambolo, laddove si prevede che gli Stati membri dell’ESM (di diritto tutti gli Stati dell’eurozona) acknowledge the current dialogue between the Managing Director and the European Parliament: un dialogo appunto, non certo un rapporto giuridico né una forma di controllo, limitandosi la nuova bozza di Trattato a prevedere oltre che ai Parlamenti nazionali (disposizione già contenuta nel testo vigente) che il Consiglio dei Governatori debba rendere accessibile il rapporto annuale anche al Parlamento europeo (articolo 30, paragrafo 5).
Se nel testo vigente le operazioni decise dal Consiglio dei Governatori sono essenzialmente sviluppate e poste in essere dalla Commissione, le modifiche del Trattato affiancano alla Commissione il Direttore generale. Così è per la procedura della concessione del sostegno alla stabilità (articolo 13). Nel testo vigente, ricevuta la domanda dallo Stato che ne faccia richiesta, il Presidente del Consiglio dei Governatori assegna, di concerto con la BCE, il compito di valutare l’esistenza delle condizioni per attivare questo sostegno. Nel testo modificato dall’Eurogruppo di giugno questo ruolo viene assegnato alla Commissione e al Direttore generale. Il testo vigente prevede già che debba essere fatta una valutazione sulla sostenibilità del debito pubblico; il testo modificato precisa che questa valutazione deve consentire un sufficiente margine di giudizio valutando in particolare se l’intervento di sostegno possa essere ripagato.
Nel preambolo (par. 12 a) si ipotizza anche il caso in cui non vi sia una visione comune a riguardo tra Commissione europea e Direttore Generale del MES quanto alla sostenibilità del debito dello Stato che richiede aiuto. In questa ipotesi dovrebbe spettare alla Commissione fare una valutazione generale della sostenibilità del debito mentre the ESM will assess the capacity of the ESM Member concerned to repay the ESM.
Sulla base di questa valutazione – secondo il Trattato come modificato – è poi proprio il Direttore generale a dover proporre al Consiglio dei governatori la concessione del sostegno allo Stato richiedente. Ed è sempre il Direttore generale insieme alla Commissione europea a dover negoziare il memorandum of understanding (MoU) che precisa le condizioni contenute nel dispositivo di assistenza finanziario. Nella versione vigente questo compito lo svolge la Commissione insieme alla Banca centrale e ove possibile l’FMI (un ruolo quello della Banca centrale e dell’FMI ribadito anche nelle proposte di modifica del Trattato). Nel Testo vigente è la sola Commissione a firmare a nome del MES il MoU. Nel testo proposto il MoU deve essere firmato invece anche dal Direttore generale, che insieme alla Commissione deve monitorarne l’attuazione. La stessa bozza di Trattato si mostra consapevole dei problemi che possono esservi nei rapporti tra Commissione e Direttore generale, sia nella valutazione delle condizioni che permettono la concessione del sostegno sia nella sua attuazione. E così il par. 8 dell’articolo 13 ipotizza un memorandum che regoli la cooperazione tra Commissione europea e Direttore generale, ma lo condiziona ad una preventiva approvazione del Consiglio di amministrazione, con una decisione da prendersi “di comune accordo” e cioè all’unanimità.
La Bozza di accordo prevede una significativa modifica dell’essenziale strumento di sostegno del MES: l’assistenza finanziaria precauzionale. Questa assistenza “provides support to ESM Members with sound economic fundamentals which could be affected by an adverse shock beyond their control”. Sembra esplicitarsi quindi una vera e propria funzione di stabilizzazione finanziaria, funzione rispetto alla quale nella riunione dell’Eurosummit non si è trovato un consenso per disciplinarla – come pure aveva proposto la Commissione europea – con uno strumento dell’Unione. Si esplicita che tra le condizioni per ottenere questa assistenza vi è la sostenibilità del debito pubblico dello Stato richiedente. Lo Stato richiedente deve poi rispettare una serie di Eligibility criteria, tutti fissati in un protocollo per cambiare il quale serve un voto “di comune accordo” del Consiglio dei governatori.
Il Managing Director o anche uno solo dei Direttori (rappresentanti ciascuno di Stati membri del MES) può chiedere una valutazione sul mantenimento o meno della linea di credito. Il rispetto degli Eligibility criteria deve essere valutato dal Consiglio di amministrazione ogni sei mesi. Se questa valutazione è negativa, per continuare l’erogazione delle linee di credito serve una decisione all’unanimità (articolo 14, par. 7).
Le prospettive con la nuova Commissione
Nel suo discorso di apertura della seduta plenaria del Parlamento europeo la Presidente von der Leyen, come si è ricordato, non ha dedicato una autonoma considerazione alla riforma dell’eurozona. Nel documento di orientamenti, che tuttavia in quella occasione ha presentato, vi è un paragrafo dedicato all’approfondimento dell’Unione economica e monetaria. Si parla del completamento dell’Unione bancaria, dell’esigenza di sfruttare pienamente la flessibilità consentita dal patto di stabilità e crescita e della creazione di “uno strumento di bilancio per la convergenza e per la competitività della Zona Euro”. È la proposta uscita fuori dalla riunione dell’Eurogruppo del giugno del 2019, che ha lasciato cadere la proposta pure avanzata dalla Commissione Juncker relativa alla funzione di stabilizzazione. Proposta non ripresa dalla nuova Presidente della Commissione.
La proposta essenziale varata da quella riunione dell’Eurogruppo (e cioè le modifiche al trattato del MES) neppure è citata dalla Presidente della Commissione. Il che rende plasticamente visibile quanto essa strutturalmente fuoriesca dal tradizionale quadro istituzionale dell’Unione. E pure è quello (il MES) lo strumento cui l’Unione si affida per garantire la stabilità dell’eurozona nel suo complesso, di fronte ad eventi che sfuggano al controllo dei singoli stati. Ma, appunto, attraverso uno strumento strutturalmente irriducibile al metodo comunitario, tanto da non essere nemmeno citato nel discorso della nuova Presidente della Commissione, né nei documenti che ne hanno accompagnato l’elezione.
Al MES dunque finisce di fatto per essere sostanzialmente assegnata una funzione di stabilizzazione finanziaria, svolta sulla base di rigorose condizionalità e di una valutazione del quadro macroeconomico e della situazione finanziaria dello Stato richiedente, ivi compresa la sostenibilità del suo debito pubblico.
Nel Trattato (in una disposizione il cui contenuto viene rafforzato dalle proposte di modifica, all’articolo 12) si impone a ciascuno Stato aderente di adottare clausole di azione collettiva nelle emissioni dei titoli di debito pubblico, clausole funzionali ad agevolare l’eventualità, non dichiarata, ma implicita, di ricorrere ad operazioni di ristrutturazione del debito pubblico. Gli interventi del Meccanismo europeo di stabilità infatti sono tutti condizionati ad una valutazione della sostenibilità del debito. Lo è la linea di credito condizionale precauzionale (prevista per i paesi colpiti da uno shock negativo al di fuori del loro controllo, ma la cui situazione economica e finanziaria è fondamentalmente solida). Lo è anche quella soggetta a condizioni rafforzate, che prevede la stipulazione di un memorandum di intesa tra lo stato membro e il MES. Definitivamente archiviata appare l’idea di ricondurre il MES ad una logica sovranazionale, trasformandolo in Fondo monetario europeo, e ancorandolo così al quadro istituzionale dell’Unione.
Il processo di integrazione dell’eurozona compie una tappa, ma sviluppando e rafforzando quel sistema giuridico al di fuori dei Trattati istitutivi dell’Unione, avviato nel 2012 con i Trattati sul fiscal compact e sul MES, i cui organi (a partire dal Direttore generale) e le cui funzioni vengono rafforzati dalle modifiche di cui abbiamo parlato.
A fronte della modestia della proposta di uno strumento di bilancio per la competitività e la convergenza (modestia di risorse e di obiettivi che lo rendono in nulla assimilabile all’idea iniziale di un bilancio dell’eurozona), e delle difficoltà in cui versa il completamento dell’Unione bancaria (lontano è ancora l’accordo sul sistema europeo di assicurazione dei depositi mentre l’unico passo concreto è la garanzia comune backstop al Fondo di risoluzione unico delle banche, affidata però proprio al MES), la sola vera novità delle riunioni dell’Eurogruppo e dell’Eurosummit di giugno 2019 sono le modifiche al Trattato MES. Si rafforza così la dimensione intergovernativa a detrimento del ruolo delle istituzioni dell’Unione. In essa si misurano forza e debolezza degli Stati, dei loro governi e dei rispettivi parlamenti nazionali. Con una palese condizione di vantaggio per i Paesi che più pesano, quelli che hanno più voti (la Germania innanzitutto e la Francia).
* L’autore scrive a titolo esclusivamente personale
[1] La citata sentenza del Tribunale costituzionale (par. 183), nel dichiarare conforme alla Legge Fondamentale il Trattato istitutivo del MES come anche la legislazione nazionale che ne disciplina l’attuazione (Gesetzes zu dem Vertrag vom 2. Februar 2012 zur Einrichtung des Europäischen Stabilitätsmechanismus), chiarisce che nessuna decisione può essere presa contro il voto dei rappresentanti tedeschi negli organi di Governo del MES (che a loro volta rispondono direttamente al Parlamento delle loro scelte), il che garantisce la generale responsabilità di bilancio del Bundestag.