Le scelte delle democrazie davanti ai dilemmi della pandemia

Declino o resilienza? Queste sono le parole chiave cui ricorrono gli esperti per descrivere la performance delle democrazie alla prova della pandemia e delle sue conseguenze sociali ed economiche.

Nonostante alcune differenze, le politiche adottate dai governi democratici per contrastare la ripresa autunnale del contagio sono tutte accomunate dal ritorno alle restrizioni alle libertà individuali e dal ripetersi di chiusure delle attività economiche. Lo scenario che si prospetta nei prossimi mesi è critico dato l’alto numero di contagi, l’emergenza nelle strutture sanitarie, l’inizio di una nuova fase di contrazione del PIL e l’aumento della disoccupazione. A differenza di quanto accaduto nei primi mesi del 2020 a queste difficoltà si aggiungono varie forme di protesta sociale, viste a Roma come a Marsiglia, a Madrid come a Berlino. Le rivolte sono il sintomo di un nuovo malessere socio-politico che potrebbe rendere ancora più instabili le democrazie occidentali e rafforzare gli estremismi dei prossimi anni. Tuttavia, le prove che decideranno il futuro dei regimi democratici in questo momento sono altre.

La prima sfida è quindi quella di riuscire a fronteggiare queste crisi (quella sanitaria e quella socio-economica) senza tradire i principi costituzionali, mostrando processi decisionali trasparenti in cui i governi collaborano con i parlamenti e le opposizioni. In tal senso, se in alcune democrazie le istituzioni stanno mantenendo la gestione della pandemia nell’ambito delle procedure costituzionali, in altre le politiche emergenziali potrebbero lasciare i segni evidenti di un’inevitabile trasformazione istituzionale.

In quest’ultimo caso si tratta di democrazie già indebolite da tendenze autoritarie più o meno latenti, in cui la pandemia ha offerto ai capi degli stati e dei governi l’occasione per estendere il potere esecutivo, marginalizzare le minoranze, rendere più penetrante il controllo sui cittadini. Ad esempio, in Ungheria, sono stati introdotti nuovi reati e imposti limiti alla libertà di stampa. Inoltre, nel momento di massima debolezza dell’opposizione, il governo Orbán ha proposto delle modifiche alla legge elettorale per ridurre le chance dei partiti avversari di vincere le elezioni del 2022 ed eliminare le norme anticorruzione nel finanziamento alla politica.

Il premier ungherese Viktor Orban

 

La seconda incognita, che farà la differenza tra il declino o la resilienza dei sistemi democratici, è quella legata all’emergenza sanitaria ed in particolare al ruolo della conoscenza scientifica. Negli ultimi anni, la retorica populista ha estromesso il contributo della scienza da rilevanti processi decisionali. La March for Science, svoltasi nel 2017 a Washington e in altre 600 città del mondo, denunciava esattamente questa tendenza condivisa da alcuni governi, diventando il simbolo della reazione della comunità accademica ad ogni tentativo di negare il valore della scienza (in quel caso sul climate change).

La pandemia ha rimesso al centro delle decisioni politiche le competenze tecniche, ma non sempre la voce degli esperti è stata condivisa dai governi. In Germania, probabilmente grazie alla formazione scientifica di Angela Merkel, il governo ha dato ampio spazio alle strategie elaborate dai virologi, mentre in altri Stati i problemi sottoposti dagli esperti sono stati ignorati o affrontati con notevole ritardo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, l’evoluzione della pandemia è tuttora fuori controllo. Trump ha inizialmente negato la diffusione del virus ed in seguito ha dichiarato lo stato di emergenza. Dopo i ritardi e lo scetticismo del presidente, i lockdown decretati dagli Stati si sono conclusi tra le polemiche di ampie fasce della popolazione. Infine, negli ultimi mesi della campagna elettorale l’immunologo Anthony Fauci (già alla guida della task-force nazionale sul Covid-19) è stato attaccato da Trump e il presidente è stato anche contagiato dal coronavirus.

Il rapporto della politica con la scienza, decisivo per il buon funzionamento di una democrazia

 

La terza difficoltà è quella relativa alla gestione della crisi economica. L’interruzione del commercio e delle attività produttive ha creato uno shock dal lato della domanda e dal lato dell’offerta. Lockdown dopo lockdown restano i problemi dell’aumento dell’indebitamento privato e della disoccupazione, della sopravvivenza di imprese e interi distretti industriali.

Le politiche economiche adottate da marzo a oggi hanno avuto degli effetti limitati, riuscendo soltanto a contenere le ripercussioni più drammatiche e immediate della crisi. Sorgono vari problemi di policy che restano ancora privi di risposta.

I sussidi di disoccupazione (ormai prolungati per quasi un anno in molte democrazie) rischiano di creare degli effetti di mancata percezione del problema occupazionale che sarà chiaro solo al termine della pandemia. Inoltre, la prolungata inattività della forza lavoro può causare un progressivo depauperamento del capitale umano. Infine, la crescita del debito pubblico di molti Stati (Italia compresa) potrebbe spingere la finanza a nuove speculazioni.

A differenza delle Banche centrali, che hanno adottato strumenti straordinari a sostegno della finanza pubblica e dell’economia, i governi non hanno ancora trovato delle politiche fiscali e di riforma innovative per superare la difficile congiuntura economica.

Solo se le democrazie riusciranno a superare la pandemia mantenendo vive le loro costituzioni, valorizzando il contributo della scienza e salvando le loro economie dalla depressione, allora avranno dimostrato di poter essere resilienti. Al contrario a determinare il loro declino potrebbe essere la combinazione di garanzie costituzionali deboli, un’anti-politica più forte ed economie vicine al collasso.

In questo scenario, che riguarda tutte le democrazie occidentali, quella americana si trova anche nella transizione da un’amministrazione all’altra mentre l’emergenza sanitaria sta peggiorando. I morti per il COVID-19 in America sono più di 250.000 e l’11 novembre le persone ricoverate in ospedale sono state più di 65.000. È il dato più drammatico per la sanità americana dallo scorso aprile.

Nel contesto appena descritto, la vittoria di Biden potrà avere delle importanti implicazioni. I due candidati alle presidenziali hanno mostrato un approccio antitetico alla pandemia, nei loro gesti, nei discorsi e nelle decisioni prese. A contrario di Trump, Biden si è sempre mostrato al pubblico con la mascherina durante la campagna elettorale ed ha sensibilizzato gli americani a rispettare le misure di prevenzione del contagio. Inoltre, la prima nomina fatta dal presidente eletto riguarda Ron Klain, che è stato il responsabile del piano anti-ebola di Obama e sarà la guida della squadra anti-Covid della nuova amministrazione. I democratici stanno anche lavorando ad un piano – il Public Heath Jobs Corps – per creare occupazione per circa 100.000 americani nell’ambito degli investimenti in nuovi sistemi di monitoraggio del contagio.

Il dilagare della pandemia negli Stati Uniti è la questione più urgente per l’amministrazione Biden

 

Nonostante l’euforia dei democratici, il nuovo presidente potrebbe trovarsi nella difficile condizione di governare con una macchina amministrativa che funzionerà a rilento per i primi mesi del 2021 e senza l’appoggio del Senato.

A breve inizierà il turn-over dei vertici delle agenzie federali e tra esse vi sono anche agenzie che si occupano della sanità. Il processo legato alla conferma delle nomine di Biden potrebbe richiedere mesi. Il costo di questa lenta transizione nelle principali amministrazioni di Washington potrebbe essere molto elevato dato che Biden dovrà governare senza poter contare sulla piena collaborazione di tutte le strutture amministrative federali.

Inoltre, e questo è il grande motivo di incertezza che pesa sulle politiche anticrisi della presidenza Biden, ancora non si sa quale partito controllerà la maggioranza del Senato dal prossimo gennaio. Soltanto le elezioni dei due senatori della Georgia chiariranno quali saranno gli equilibri tra democratici e repubblicani nel Senato e, quindi, tra Senato e Casa Bianca. Se i repubblicani dovessero continuare a controllare il Senato, la loro opposizione alla presidenza Biden potrebbe ipotecare la speranza di politiche anticrisi all’altezza del momento storico. In quest’ultima ipotesi, senza un ritorno alla politica bipartisan, gli Stati Uniti rischiano di diventare uno dei paesi maggiormente colpiti dalla pandemia e dai suoi effetti, non solo sanitari, ma anche economici e sociali.

 

 

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