Le Alpi, laboratorio della lotta all’inquinamento atmosferico

La catena montuosa delle Alpi si estende nelle regioni centro-meridionali del continente europeo su una superficie di 190mila chilometri quadrati compresa tra otto stati nazionali: Francia, Principato di Monaco, Italia, Svizzera, Germania, Liechtenstein, Austria, e Slovenia. Le circa 14 milioni di persone che le abitano sono collocate principalmente in piccoli comuni nelle valli e in una manciata di città con poco più di centomila abitanti quali Grenoble, Innsbruck e Trento.

La regione alpina secondo la Convenzione delle Alpi

 

A questa piccolo gruppo di abitanti con lingue e culture diverse si aggiungono circa 120 milioni di turisti che vi si recano ogni anno per fruire dei meravigliosi paesaggi alpini e, forse, soprattutto per respirare quell’aria pulita e incontaminata delle vette più alte d’Europa.

Alle decine di milioni di autovetture private che transitano attraverso le Alpi si aggiungono i circa due milioni di autocarri per il trasporto di merci che valicano ogni anno passi alpini come il Monte Bianco, il San Gottardo e il Brennero, quest’ultimo il più trafficato dell’intero arco montuoso, tanto oggi quanto già nel periodo tra l’età del bronzo e l’età del ferro, per gli uomini e i carri.

Durante i loro trenta milioni di anni di vita, sulle Alpi si è creato un ambiente paesaggistico-naturalistico tanto peculiare quanto sensibile ai cambiamenti, che la continua antropizzazione come pure l’evoluzione meteorologica mettono costantemente alla prova. Per questo, già nel 1991, gli otto stati nazionali che contengono le sue montagne nei propri confini decisero di cooperare sottoscrivendo la Convenzione delle Alpi quale trattato internazionale per proteggere e promuovere uno sviluppo sostenibile, come pure di dare più capitolo alle Alpi in una Europa sempre più unita, o quanto meno sempre più vicina.

La Convenzione delle Alpi mostra che la questione è tanto ambientale quanto politica, poiché i fattori inquinanti non si arrestano ai confini nazionali, e devono dunque essere affrontati attraverso una cooperazione transfrontaliera.

Organizzazioni non governative e associazioni con lo scopo di preservare e proteggere l’ambiente naturale, sociale ed economico delle Alpi affermano che la qualità dell’aria sull’arco alpino è migliorata negli ultimi decenni. Tuttavia l’inquinamento da particolato, ozono, ossidi di azoto e ammoniaca è ancora troppo elevato nelle zone collocate lungo i tratti di transito autostradali, ma soprattutto nelle valli di montagna, nelle quali l’inquinamento prodotto da varie fonti emittenti raggiunge valori da tre a sei volte peggiori che nelle pianure poste ai piedi delle montagne alpine.

La causa di questa concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria è paradossalmente dovuta alla topografia delle stesse Alpi, ovvero alla presenza di valli strette, a cui si aggiunge un fenomeno del tutto naturale detto inversione termica al suolo.

I versanti ripidi, infatti, limitano la dispersione degli inquinanti atmosferici, che più pesanti dell’aria si depositano nei fondi valle. Nel periodo invernale, e in particolare di notte, nelle stesse valli strette, inoltre, si accumula a basse quote, e sempre per via naturale, uno strato di aria fredda che perdura per circa un terzo della stagione, al di sopra del quale strato, a un’altezza di circa cinquanta metri dal fondovalle, si formano delle masse di aria più calda, che al pari di un tappo impediscono il ricambio verticale di aria, favorendo in questo modo l’accumulo di sostanze nocive, e sfavorendo la dispersione delle masse d’aria che le contengono. L’effetto peggiora nei periodi anticiclonici stabili e con vento debole.

Il fenomeno dell’inversione termica al suolo

 

La maggior parte dei circa 14 milioni di abitanti della regione alpina vive nelle valli, dove sono collocate le strade principali come pure le autostrade, dunque soffre di questa condizione.

L’inquinamento atmosferico è definito come una miscela di sostanze gassose, liquide e solide prodotte da processi di combustione di sostanze organiche come biomasse e combustibili fossili adoperati per produrre energia, e immesse direttamente nell’atmosfera, e pertanto dette inquinanti primari, alle quali si associano anche polveri sottili generate dagli autoveicoli per l’abrasione degli pneumatici, dei freni e dell’asfalto come pure polveri metalliche e non metalliche prodotte da attività industriali e agricole.

Questi inquinanti primari sospesi nell’atmosfera, per effetto delle interazioni tra loro e l’acqua presente nell’aria come pure per l’azione delle radiazioni solari, si legano tra loro formando altri tipi di sostanze nocive, solide e liquide, delle dimensioni tipiche di 10 micrometri (PM10), dette inquinanti secondari o anche aerosol di origine antropica, che si disperdono e alterano nell’aria nei modi più diversi e imprevedibili, al pari dell’evoluzione biologica di un virus.

La qualità dell’aria nella regione alpina, o viceversa la contaminazione atmosferica, non è omogenea sull’intero arco alpino, essendo essa dipendente dal periodo dell’anno, dalla morfologia del luogo, dalle condizioni meteorologiche, dalla vicinanza ad agglomerati urbani e dalla prossimità a strade e autostrade.

Le sorgenti principali di inquinanti atmosferici nella regione alpina sono la combustione di biomasse e il traffico stradale, sebbene ciascuna di queste sorgenti abbia caratteristiche specifiche per il tipo di sostanza inquinante che rilascia nell’atmosfera, dunque l’una può essere relativamente più inquinante dell’altra a seconda del gas o del composto organico più nocivo per la salute umana come pure per la flora e la fauna alpina che si prende in considerazione. Possiamo enumerare polveri sottili (PMx), ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO), ozono (O3), composti organici volatili (COV), composti organici non metanici (COVNM), benzo(a)pirene (BaP), anidride solforosa (SO2), benzene (C6H6), metalli pesanti come piombo (Pb), arsenico (As), cadmio (Cd), nichel (Ni), mercurio (Hg) o altre sostanze ancora.

Altre sorgenti locali includono l’agricoltura e, in un numero limitato di siti, l’industria, le centrali elettriche e le centrali di teleriscaldamento.

È importante ricordare che non esistono soglie al di sotto delle quali gli inquinanti atmosferici non rappresentino un pericolo per la salute umana e per le altre specie di esseri viventi.

Stabilire, o almeno stimare, l’effetto di ogni sorgente di inquinamento atmosferico è indispensabile per sviluppare politiche per il miglioramento della qualità dell’aria, ovvero della qualità della vita delle persone che abitano quei luoghi. Prendendo per esempio in considerazione il solo particolato atmosferico, in molti siti alpini il contributo dato dalla combustione di biomasse alla formazione di PM10 è spesso superiore alla quota generata dal traffico stradale o alla formazione di particelle colloidali organiche e inorganiche di natura antropogenica diversamente tossiche.

Nella valle dell’Arve nelle Alpi francesi, a Chamonix-Mont-Blanc, stazione sciistica di fama mondiale collegata al comune italiano di Courmayeur attraverso il traforo del Monte Bianco, e quindi all’autostrada A5 per Torino, è stato condotto uno studio sulle sorgenti delle polveri sottili. Dalle misurazioni è emerso che durante il periodo invernale la combustione di biomasse, per esempio legna bruciata per alimentare sistemi per il riscaldamento domestico, contribuiva per il 70% alla formazione di polveri sottili di dimensioni inferiori a 10 micrometri (PM10), seguita per il 15% dall’aerosol secondario e solo per il restante 5% dal traffico di veicoli con motore a combustione interna.

Inquinamento da inversione termica a Sallanches, nella valle dell’Arve

 

A Erstfeld, nella omonima valle alpina svizzera, il contributo del traffico stradale alle polveri PM10 eguaglia il contributo della combustione delle biomasse e dell’aerosol secondario, per la sola ragione che nel comune del Cantone Uri è collocato il portale nord della galleria di base del San Gottardo, attraverso il quale quasi ogni automobile e quasi ogni autocarro deve transitare per percorrere il corridoio Reno-Alpi che da nord a sud collega Amsterdam a Genova.

Le biomasse come il legno trovano impiego da secoli nelle Alpi, e non solo nelle Alpi, come fonte di energia domestica, per esempio per alimentare una stufa, spesso principale sorgente di calore per il riscaldamento residenziale. Nel corso degli ultimi due decenni si è favorito l’impiego di biomasse legnose per sostituire i combustibili fossili e stimolare l’economia locale, senza però prevenire gli effetti collaterali sulla qualità dell’aria, come pure di accelerazione di processi di deforestazione in alcune regioni.

Secondo l’inventario nazionale austriaco sulle emissioni nell’atmosfera, una stufa a legna rilascia nell’aria 118,4 kg di polveri sottili del diametro di 2,5 micrometri (PM2,5) per ogni terajoule (TJ) di calore prodotto contro i 0,2 kg prodotti da un bruciatore alimentato con metano, un rapporto di 600 volte a una, tenendo presente che un globulo rosso ha un diametro di circa 8 micrometri. Rapporti simili tra una stufa a legna e un bruciatore a metano si registrano anche per le emissioni di ossidi di azoto, composti organici volatili, anidride solforosa e altre sostanze cancerogene come il benzo(a)pirene.

 

Il traffico stradale gioca comunque in alcuni casi un ruolo paritario o superiore alla combustione di biomasse. Recenti sperimentazioni sul valico del Brennero hanno evidenziato che il traffico leggero, cioè di veicoli con massa inferiore a 3,5 tonnellate e che possono viaggiare a 130 km/h, abbia un ruolo non trascurabile sull’inquinamento dell’aria e sulla viabilità, poiché è risultato che il 60% delle emissioni degli ossidi di azoto proviene da autovetture e veicoli commerciali leggeri.

Gli ossidi di azoto (NOx) sono tra i gas inquinanti che più caratterizzano le emissioni nocive prodotte dai motori a combustione interna, sono velenosi e reagiscono con altre sostanze chimiche presenti nell’aria per formare particolato, ozono e piogge acide, queste ultime acidificano a loro volta suolo, fiumi e laghi.

La riduzione dell’inquinamento atmosferico nell’arco alpino fino a raggiungere una condizione di emissioni nette nulle passa per due grandi linee di azione: la riduzione degli impianti di riscaldamento alimentati con legna e la riduzione del traffico stradale.

Per la prima linea di azione è necessario adeguare il quadro giuridico ponendo valori limite all’uso di impianti di riscaldamento alimentati con legna, incluse le applicazioni industriali, sostenuta anche da incentivi fiscali per convertire gli impianti in sistemi ecocompatibili come stufe e caldaie alimentate con pellet o anche bruciatori alimentati con gas metano.

Per la seconda linea di azione, preservando il valore delle valli alpine come spazio vitale, senza tuttavia ostacolare il flusso di merci in una zona che si trova nel cuore d’Europa, è fondamentale limitare i trasporti stradali di persone, ma soprattutto di merci tramite l’utilizzo della ferrovia: un intervento più sistemico di quanto si pensi, poiché il 95% dei rimorchi non è progettato per essere trasferito dagli autocarri ai treni. Al passaggio dalla rete stradale alla rete ferroviaria è indispensabile associare una serie di disincentivi come tasse sul traffico pesante commisurata alle prestazioni in termini di massa complessiva dell’autocarro, livello delle emissioni e chilometri percorsi nel paese di attraversamento come pure il divieto di circolazione domenicale e notturna.

Le Alpi potrebbero così diventare il laboratorio politico europeo per un continente senza inquinamento atmosferico.

 

 

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