La pressione russa e le responsabilità europee per la sicurezza del continente

 La Russia sta solo testando la coesione politica della NATO o intende davvero attaccare in Europa, al di là dell’Ucraina? I servizi segreti dei Paesi occidentali fanno filtrare analisi più (Italia) o meno (Germania) rassicuranti sulle intenzioni a medio termine di Mosca. Ma esiste una semplice verità: dovere dei governi è di prepararsi a qualunque scenario, incluso quello più negativo.

E’ probabile che Vladimir Putin scommetta sulla voglia di disimpegno dell’America di Trump – quanto poi sia realistica è da vedere, in caso di vero confronto fra la Russia e l’UE. E che utilizzi le provocazioni militari, insieme alla guerra ibrida, per spostare gli equilibri politici europei verso ipotesi favorevoli a un appeasement con Mosca. Il fronte ucraino è ancora aperto, dopo anni di guerra. Come ha scritto di recente lo storico militare britannico Lawrence Freedman, alla domanda su quando finirà la guerra russo-ucraina, l’unica risposta onesta è che non lo sappiamo. Tuttavia – continua Freedman – è evidente da tempo che Mosca non ha le capacità di sottomettere l’insieme dell’Ucraina, come dettava il piano iniziale del Cremlino.

L’Europa centro-orientale

 

Ne consegue che la Russia non può certo sperare di vincere un conflitto allargato a Occidente sul piano militare. Ma può tentare, attraverso pressioni esterne ed interne, di minare la resistenza di un’Europa che continua ad appoggiare Kiev. Nella visione del Cremlino, l’UE è vulnerabile; ed è al tempo stesso il vero nemico. Donald Trump sembra sposare una logica di sfere di influenza. Ha detto spesso che l’Ucraina non è la “sua” guerra. Per la maggior parte dei governi europei, l’Ucraina è diventata invece la prima linea di difesa della sicurezza continentale. Il tentativo del Cremlino è di piegare questa resistenza, giocando sulla paura della guerra, le oscillazioni dell’opinione pubblica, i costi del sostegno a Kiev, e sull’esistenza di partiti politici che non saranno apertamente filo-russi ma ritengono che convenga trattare con Mosca, accettando di fatto una pax russa in Ucraina.

Sarebbe una scelta molto rischiosa: niente può garantire che lo Zar del Cremlino, che ha fatto della guerra un metodo di rafforzamento del proprio regime, si fermi al Donbass. Mentre la storia insegna i costi dell’appeasement: nuovi conflitti e crisi interna delle democrazie. E’ anche una battaglia di narrative: nel momento in cui diciamo di avere già perso, come sistema democratico occidentale, diventiamo nei fatti più deboli ed esposti. L’alternativa è di reagire in modo chiaro: Putin arriverà fino a dove sarà lasciato arrivare. Per rispondere, va tenuto chiaro un assunto iniziale e compiuti i passi conseguenti.

L’assunto di partenza è che l’esito della guerra in corso dal 2022 (o dal 2014 per essere più esatti) costituirà uno spartiacque decisivo per la sicurezza europea. Per questa ragione, aumentare gli aiuti finanziari e militari a Kiev – mentre gli Stati Uniti non sembrano più disposti a sostenerne direttamente gli oneri – resta necessario. Dovremo compiere scelte impegnative ma ineludibili: pagare le forniture militari americane nei settori dove non abbiamo sufficienti capacità (i Patriot, i sistemi di intelligence); rafforzare le sanzioni energetiche, uscendo dallo stillicidio dei pacchetti parziali e approvare finalmente un piano per utilizzare gli interessi delle risorse finanziare russe congelate in Europa senza minare la credibilità dei depositi in euro. L’esercito ucraino è ormai uno dei più moderni e innovativi in Europa. Sostenerlo è nei nostri stessi interessi.

Segue il passo necessario: la costruzione di una capacità di deterrenza sul fronte orientale, con una NATO necessariamente più europea e con meno America. In parte funziona già, lo abbiamo visto in Polonia e in Estonia con l’intervento dei sistemi di difesa aerea integrata che hanno attivato le forze di Paesi europei a tutela degli alleati in prima linea. Ma di certo non basta. Lo sviluppo di una base industriale della difesa europea è un tassello chiave. Vari progressi sono stati fatti negli ultimi anni, a cominciare dal livello delle spese militari, ormai attorno ai 300 miliardi di euro complessivi. Ma vanno fatti progressi più rapidi sul lato dei finanziamenti europei e del procurement congiunto; sul consolidamento industriale; sulle capacità (la spesa è quantità ma anche qualità); sull’innovazione tecnologica necessaria per rispondere alla natura della guerra moderna. Come dimostrano le lezioni del conflitto in Ucraina, restano necessari i soldati (paesi come la Svezia hanno reintrodotto la leva), ma abbiamo anche bisogno di droni che paradossalmente potremmo comprare dall’Ucraina stessa, dobbiamo produrre molte più munizioni (l’aumento dell’output annuale può per ora colmare parte delle forniture all’Ucraina, ricostituendo gli arsenali europei) e dotarci di capacità di difesa missilistica ed elettronica per cui siamo ancora dipendenti dagli Stati Uniti. Nella guerra di oggi, la difesa costa molto più dell’offesa. E’ un gap che va ridotto. E per farlo ci vuole una scala europea. In cui rientrano cooperazioni settoriali fra chi vuole e chi può mettere in comune capacità di difesa e i loro futuri sviluppi; tenendo ancorata la Gran Bretagna, decisiva sul piano militare; e rafforzando la cooperazione industriale proprio con l’Ucraina.

In altri termini: senza una spesa più efficiente, e senza una integrazione maggiore, molti dei nuovi investimenti rischiano di andare sprecati.

Come sappiamo benissimo ma tendiamo a dimenticare, la pace deve essere difesa, non è una condizione naturale. E la difesa ha un costo, a lungo sostenuto in modo sproporzionato dagli Stati Uniti. D’altra parte, lo sviluppo dell’industria militare avrà effetti positivi per il recupero di competitività tecnologica dell’Europa, condizione per evitare che il vecchio continente sia vulnerabile a pressioni esterne e sia incapace di influenza globale pur avendo un peso economico assai rilevante. E questo tanto più in una fase in cui sicurezza ed economia si contagiano e in cui le dipendenze strategiche vengono usate come “armi” – la famosa “weaponization”.

Non abbiamo molto tempo a disposizione e Putin sembra convinto che il fattore tempo giochi a suo favore. Si tratta probabilmente di un’illusione: quanto più la Russia “testerà” la risposta europea, tanto più rischierà anche di ottenere un effetto opposto a quello prima descritto e desiderato dal Cremlino. E’ comunque un’illusione pericolosa, a forte rischio di provocare incidenti e che è decisivo smentire.

 

 

 

securityRussiaUkraineEuropediplomacyEU