Il 20 febbraio si è conclusa senza esito una riunione del Consiglio europeo dedicata al nuovo quadro finanziario pluriennale. I Capi di Stato e di Governo dell’Unione cercavano senza raggiungerlo un consenso sulle risorse da attribuire al bilancio dell’Unione per i prossimi sette anni. Nel frattempo l’epidemia – già considerata tale sin dal 30 gennaio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – era sostanzialmente diffusa, anche se non percepita nella sua gravità, nei Paesi europei. Il 31 gennaio il Governo italiano, dopo il primo episodio verificatosi a Roma, aveva dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Il giorno dopo la riunione del Consiglio europeo venne individuato il primo focolaio a Codogno; il 22 febbraio il decreto-legge n. 6 ha posto le premesse di una serie di misure che nei giorni seguenti hanno progressivamente costretto la libertà di circolazione in diverse province italiane e quindi nell’intero territorio nazionale (misure adottate nel corso del mese di marzo anche da altri Paesi europei).
Durante le prime settimane di marzo, di fronte alla crescente consapevolezza circa la reale portata della minaccia alla salute dei cittadini e al funzionamento del sistema economico, sono arrivate le prime risposte delle istituzioni dell’Unione Europea.
La risposta dell’Unione. Il 2 marzo la Presidente della Commissione ha formulato una prima proposta organica, poi articolata in una comunicazione della Commissione pubblicata il 13 marzo (COM (2020) 112). Di fronte allo straordinario impatto economico e finanziario dell’epidemia, la Commissione ha subito chiarito che, alla luce della limitata entità del bilancio dell’Unione, “la risposta in termini di finanza pubblica dovrà provenire dai bilanci nazionali degli Stati membri”.
Le misure essenziali della Commissione europea si sono quindi incentrate sull’utilizzo dei margini di flessibilità volti ad agevolare una rapida e più ampia azione dei singoli Stati: consentendo di intervenire con aiuti di Stato per sostenere il sistema economico a fronte dalla situazione di grave turbamento generata dall’emergenza sanitaria in atto e attivando (per la prima volta nella storia) la clausola di salvaguardia generale prevista nel patto di stabilità e crescita (general escape clause). La Commissione ha stanziato risorse per promuovere la ricerca, e ha intrapreso soprattutto iniziative per garantire il funzionamento del mercato interno, e la sicurezza dei trasporti, delle merci e dei servizi essenziali per contenere e combattere il contagio.
A valere poi sulle risorse del bilancio dell’Unione sono stati proposti due regolamenti: un’iniziativa di investimento in risposta al Coronavirus che destina all’emergenza sanitaria 37 miliardi di euro, utilizzando essenzialmente fondi strutturali di investimento non spesi o non ancora assegnati nell’ambito della politica di coesione; una modifica al Fondo di solidarietà dell’Unione europea, per includeretra le sue destinazioni anche le crisi di sanità pubblica. Questi due provvedimenti sono stati approvati dal Consiglio e dal Parlamento europeo, che si è riunito il 26 marzo utilizzando per la prima volta strumenti straordinari in virtù dei quali i deputati hanno potuto esprimere il proprio voto da remoto.
Si è dunque pervenuti a una risposta rapida che, seppur limitata con riferimento alle risorse stanziate, ha mostrato l’efficienza del cosiddetto metodo comunitario.
Le misure della BCE. Più incisivo, oltre che pronto, è apparso l’intervento della politica monetaria: una competenza esclusiva dell’Unione affidata a una istituzione comune. La Banca Centrale Europea ha adottato una prima serie di misure il 12 marzo e sei giorni dopo ha avviato un nuovo e originale programma temporaneo di acquisti di titoli del settore privato e pubblico (Pepp) con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro.
Pur trattandosi di un programma temporaneo il cui orizzonte è connesso all’emergenza, il Consiglio direttivo della BCE ha esplicitamente dichiarato che “farà tutto ciò che sarà necessario nell’ambito del proprio mandato” e che “è assolutamente pronto a incrementare l’entità dei programmi di acquisto di attività ed ad adeguarne la composizione nella misura necessaria finché le circostanze lo richiederanno e esplorerà tutte le opzioni e tutti gli scenari per sostenere l’economia per l’intera durata di questo shock”. Un messaggio chiaro che ha convinto i mercati.
Le mosse di Consiglio europeo ed Eurogruppo. Negli stessi giorni, il 10 marzo si è riunito il Consiglio europeo: il primo di una serie di incontri (i Capi di Stato e di Governo si sono incontrati di nuovo in videoconferenza il 17 e 26 marzo). Per affrontare le conseguenze socioeconomiche, concludono i Capi di Stato e di Governo “l’Unione e i suoi Stati son pronti a impiegare tutti gli strumenti necessari”. Nella riunione dell’Eurogruppo del successivo 16 marzo, i ministri economici dell’area euro sono arrivati a concludere che “Our commitments of today reflect our strong determination to do whatever it takes to effectively address the current challenges and to restore confidence and support a rapid recovery”. Viene ripetuta la celebre frase usata dal Presidente della Banca Centrale Draghi nel 2012 “whatever it takes”. Ma la misura più importante su cui si è convenuto è quella di fare pieno ricorso ai margini di flessibilità nell’applicazione del patto di stabilità e crescita e nell’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato.
Sempre il 16 marzo, inoltre, la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha annunciato l’adozione di alcuni interventi miranti a fornire, mediante meccanismi di garanzia e di sostegno del sistema bancario, le risorse finanziarie necessarie a sostenere le piccole e medie imprese (PMI) e le società a media e piccola capitalizzazione per un ammontare complessivo pari a circa 40 miliardi di euro.
Le misure proposte dalla Commissione hanno effettivamente consentito agli Stati membri di liberare risorse. Il risultato lo si è visto una settimana dopo, durante la successiva riunione dell’Eurogruppo, che si è svolta sempre in video conferenza il 24 marzo: il Presidente Centeno ha osservato che in una settimana l’importo totale delle misure fiscali di spesa adottate a livello nazionale è raddoppiato, raggiungendo il 2% del PIL europeo, e ha chiesto alla Commissione di presentare la proposta annunciata all’inizio del mandato della Presidente Von der Leyen sull’istituzione di un’indennità di disoccupazione su base europea. Il dibattito si è soffermato sul possibile intervento del meccanismo di stabilità europea (MES).
Nella lettera al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, Centeno ha parlato di un ampio sostegno a tale ipotesi, prospettando l’attivazione di una linea di credito soggetta a condizioni rafforzate, evidenziando che l’intervento del MES dovrebbe essere coerente tuttavia con la natura esterna e simmetrica della crisi in atto, collegando la condizionalità (nel breve periodo) all’utilizzo delle risorse per risolvere l’emergenza e (nel lungo) al ripristino della stabilità. L’Eurogruppo, rimarcando la necessità di ulteriori approfondimenti sugli aspetti di dettaglio, ha proposto che la linea di credito venga resa disponibile a tutti i membri, in una misura che potrebbe essere parametrata al relativo prodotto interno (ad esempio, il 2 % del PIL).
I fronti del dissenso. Su come articolare questa proposta, non si è raggiunto un consenso unanime; e la successiva riunione del Consiglio europeo, svolta il 26 marzo, si è conclusa con una dichiarazione comune in cui viene chiesto all’Eurogruppo di presentare tra due settimane delle proposte.
Alla vigilia del meeting, i leader di nove Paesi (Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna) peraltro avevano inviato al Presidente del Consiglio europeo una lettera con cui chiedevano di riflettere sul varo di uno “strumento comune di debito emesso da un’istituzione europea”. Una proposta avanzata da un fronte largo (lo ha fatto notare il Presidente francese Macron nella sua intervista ai principali giornali italiani del 28 marzo; e si potrebbe osservare che bastano nove stati per chiedere di avviare secondo il Trattato una cooperazione rafforzata), ma avversata da Paesi come l’Olanda, l’Austria, la Finlandia e soprattutto la Germania.
I Capi di Stato e di Governo di fronte a una crisi sanitaria, economica e sociale sempre più grave si son dati così due settimane e hanno chiesto all’Eurogruppo e ai Presidenti delle istituzioni europee di avanzare proposte.
Déjà vu? Per certi versi si sta riproponendo uno stallo simile a quello del 2012.
Allora però fu il Presidente del Consiglio europeo in stretta collaborazione con il Presidente della Banca centrale (Draghi) e quelli della Commissione e dell’Eurogruppo, a mettere sul tavolo proposte: la relazione verso un’autentica unione economica e finanziaria del 26 giugno del 2012 (il cosiddetto Rapporto dei quattro Presidenti).
Nel proporre la necessità di un quadro di bilancio integrato (da affiancarsi alla Unione bancaria di cui si delineavano gli elementi costitutivi e a un quadro di politica economica integrata, volto a garantire il pieno coordinamento delle politiche economiche nazionali nell’ambito del semestre europeo) il Rapporto segnalava che non basta “una rapida attuazione delle misure già concordate nel quadro rafforzato di governance economica”; occorre anche “un’evoluzione qualitativa verso un’unione di bilancio”. Il Rapporto individuava quindi come obiettivo da realizzare “la emissione di debito comune come elemento di tale unione di bilancio”. L’unione di bilancio dovrebbe prevedere poi lo sviluppo di “un organismo di bilancio a livello della zona euro, quale un Ufficio del Tesoro”.
Il Rapporto dei quattro Presidenti delineava una prospettiva organica per l’UEM, da realizzare in un arco temporale di dieci anni.
L’urgenza e la gravità della crisi indotta dalla epidemia ripropone oggi la necessità di completare l’unione economica monetaria. Allora, nel Consiglio europeo del giugno 2012 (che si svolse avendo sul tavolo la relazione preparata dal Presidente Van Rompuy) come ha ricordato Mario Monti (Corriere della Sera, sabato 28 marzo) che ne fu uno dei protagonisti, si raggiunse un consenso che permise l’avvio dell’unione bancaria. Ma la tensione per realizzare quell’organico disegno si perse rapidamente. Sempre più la salvezza dell’eurozona e la sua solidità sono state essenzialmente affidate agli interventi della Banca Centrale. Quello stesso anno si chiuse il negoziato sul bilancio pluriennale dell’Unione che per la prima volta non aumentava, ma si riduceva nella sua proporzione rispetto al PIL.
Strumenti economici vecchi e nuovi. Capacità di indebitamento comune e aumento del bilancio dell’UE per permettere un sostegno reale ai Paesi più colpiti (come ha detto Macron) sono oggi (come in fondo ieri) le questioni sul tavolo per superare la solitudine istituzionale della BCE e conferire alle istituzioni europee una capacità di intervento anche dal punto di vista della politica fiscale.
Bisogna ricordare che gli interventi messi in campo dal Consiglio direttivo della BCE sono giustificati da uno shock simmetrico, che investe tutti i Paesi dell’area euro, inducendo la Banca centrale ad acquistare i titoli di tutti i Paesi secondo una precisa chiave di ripartizione, sebbene con un grado di flessibilità tale da consentire variazioni nella distribuzione dei flussi di acquisti nel corso del tempo, fra le varie classi di attività e i vari Paesi. A tal fine, la BCE ha anche stabilito di derogare, nell’ambito del PEPP, al limite all’acquisto del 33% dei titoli in circolazione di un paese emittente (i cosiddetti issuer limits).
Interventi ancor più incisivi come l’impegno della BCE ad acquistare illimitatamente titoli pubblici (il cosiddetto strumento Outright Monetary Transactions – OMT, operazioni monetarie definitive) sono condizionati al fatto che i Paesi si trovino in una situazione di difficoltà economica grave e conclamata, identificata in concreto nell’avvio di un programma di aiuto gestito dal MES.
Il ricorso al MES, al di là delle risorse che effettivamente questo organismo può mettere in campo (secondo l’ipotesi avanzata nella lettera del Presidente dell’Eurogruppo al Consiglio europeo, per l’Italia si tratterebbe di circa 35 miliardi di euro), servirebbe ad aprire la via all’OMT, all’intervento cioè più radicale della BCE.
In questa prospettiva, l’opzione di un intervento del MES (con le sue condizionalità) non pare destinata ad essere archiviata (magari anche utilizzando soluzioni innovative come ad esempio quella proposta da M. Messori in “The current European debate on fiscal policy”, Luiss SEP, Policy Brief 10/2020).
Allo stesso tempo, ad oggi, la differenza delle misure messe in campo dai singoli Stati, di per sé non può essere considerata “una strategia d’uscita coordinata, piano di rilancio complessivo” (come pure richiede il Consiglio europeo).
Il Consiglio europeo ha individuato cinque priorità: limitare la diffusione del virus; fornire attrezzature mediche; promuovere la ricerca; garantire il rimpatrio dei cittadini europei bloccati negli Stati terzi; affrontare le conseguenze socioeconomiche della crisi. Per quest’ultima priorità – come si è detto – ma anche per le altre, si pone quale tema essenziale la questione delle risorse dell’Unione Europea.
I nodi al pettine. La diffusione del virus e le risposte non coordinate delle autorità nazionali, non solo hanno indotto alcuni Stati a reintrodurre dei controlli alle frontiere interne dello spazio Schengen e hanno messo addirittura in questione il normale funzionamento del mercato unico (con rotture che potrebbero non sanarsi facilmente), ma hanno fatto emergere anche l’assenza di una capacità centralizzata di lettura e analisi dei dati. Il trattato di Lisbona, nel rivedere le norme sulle competenze dell’Unione, ha esteso l’azione dell’Unione alla sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce frontaliere per la salute (articolo 168).
Una competenza che, se non prevede la possibilità di armonizzazione come invece ipotizzato nel trattato costituzionale bocciato del referendum in Francia e Olanda, non è stata sviluppata negli oltre dieci anni che sono passati dalla entrata in vigore del Trattato. Lo stesso regolamento che ha istituito il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie è del 2004, precedente al Trattato di Lisbona, Trattato che fornisce gli strumenti invece per una disciplina molto più penetrante a livello europeo; quantomeno sufficiente per garantire una misurazione omogenea dei fenomeni per la quale oggi la Commissione fornisce semplici raccomandazioni.
Quella competenza fu iscritta nei Trattati poiché viva era l’esperienza della epidemia di SARS del 2002-3. Si sarebbe potuto dunque costruire e da tempo una funzione di coordinamento efficace (anche per quanto riguarda la fornitura delle attrezzature mediche per combattere epidemie che hanno un carattere transfrontaliero) come si è fatto ad esempio in un altro ambito pure introdotto dal Trattato di Lisbona tra le competenze dell’Unione: la Protezione civile.
Il perseguimento di tutti questi obiettivi, nonchè quello di affrontare le conseguenze socioeconomiche della crisi, richiede , come ha affermato il Commissario Gentiloni, un piano di rinascita. In questa prospettiva occorre che la Commissione europea elabori adeguate proposte normative (ad esempio, e più che mai urgente, la presentazione della proposta di un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione che pure era stata presentata nel programma di lavoro come una delle priorità della Commissione Von der Leyen), ma anche una riflessione e una nuova proposta sulla dimensione e sulla struttura stessa del prossimo bilancio pluriennale, che coinvolga la possibilità di finanziarsi sul mercato per interventi straordinari di stabilizzazione economica e sociale.
Bilancio comune e responsabilità. Il fatto che il bilancio pluriennale non sia stato ancora approvato può essere paradossalmente oggi un’opportunità che la Commissione europea dovrebbe cogliere.
Per presentare una nuova proposta più ambiziosa nelle dimensioni e anche diversamente articolata. Da sola ad esempio, l’introduzione di una maggiore flessibilità potrebbe essere una prima risposta alle esigenze di un mondo dove le sfide imprevedibili rendono assurdo definire ex ante per un periodo di sette anni le priorità.
Un bilancio più ambizioso e meglio strutturato può fornire ad esempio la garanzia alla BEI per un’azione ancor più radicalmente ambiziosa di quella pure intrapresa in questi giorni per mobilitare risorse.
Il nodo che si ripropone oggi è comunque quello già individuato con chiarezza nel 2012 dal Rapporto dei quattro Presidenti: il corretto funzionamento dell’unione economica e monetaria richiede “un’evoluzione qualitativa verso un’unione di bilancio”. Questa “comporterebbe lo sviluppo di una maggiore capacità a livello europeo in grado di gestire le interdipendenze economiche, in prospettiva, lo sviluppo di un organismo di bilancio a livello della zona euro, quale un Ufficio del Tesoro”, in una tale prospettiva allora come oggi “si potrebbe valutare l’emissione di debito comune come elemento di unione di bilancio, subordinato ai progressi dell’integrazione di bilancio.
Si potrebbero valutare misure verso l’introduzione di responsabilità sovrana in solido, a condizione che si è definito un quadro solido per la disciplina di bilancio e della competitività, al fine di evitare il rischio morale e promuovere la responsabilità e l’osservanza”.
*Le idee espresse in questo articolo riflettono esclusivamente le opinioni dell’autore