Il dilemma della Georgia tra Mosca, Washington e Bruxelles

La Repubblica della Georgia è un tassello importante del mondo post-sovietico, cosa di cui l’Occidente ha preso coscienza soprattutto dal 2008. Il Paese del Caucaso meridionale, situato sulla riva orientale del Mar Nero con circa 4 milioni di abitanti e la capitale Tbilisi, è uno degli Stati più vulnerabili tra quelli nati dalle ceneri dell’URSS.

Una veduta di Tbilisi

 

Il 9 aprile 1991 la Georgia dichiara l’indipendenza e il 19 maggio dello stesso anno i cittadini votano il primo Presidente, Zviad Gamsakhurdia. A seguito di una grave fase di instabilità interna, causata principalmente dai contrasti politici e dai movimenti separatisti, i gruppi di opposizione lanciano un colpo di Stato contro Gamsakhurdia, eleggendo nel 1992 Eduard Ševardnadze (ex-ministro degli Esteri dell’URSS sotto Gorbaciov) come nuovo Presidente del Paese. Nel 1993, Ševardnadze aderisce alla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), riavvicinandosi in quel modo a Mosca. Tuttavia la Russia, sin dagli anni ’90 non ha mai smesso di sostenere le rivendicazioni separatiste delle regioni di Abcasia e Ossezia del Sud.

Nonostante Ševardnadze sia stato riconfermato Presidente per due volte consecutive (1995 e 2000), è stato accusato spesso di brogli elettorali. Inoltre, a causa di legami sempre più stretti tra l’amministrazione georgiana e Washington, i rapporti tra Mosca e Tbilisi iniziano ad oscillare nella seconda metà degli anni ‘90. Mentre il Cremlino accusa la Georgia di sostenere i ribelli ceceni nel conflitto interno alla Russia, Ševardnadze riceve sussidi militari dagli USA per controbilanciare la presenza russa nel Caucaso. Sempre nello stesso periodo, momento storico in cui si sta completando il processo che vedrà alcuni ex Paesi europei del Patto di Varsavia diventare a tutti gli effetti membri dell’UE, anche la Georgia mostra il suo desiderio di adesione sia all’Alleanza Atlantica sia all’Unione Europea.

A seguito di ulteriori brogli denunciati durante le elezioni legislative del 2003, l’opposizione guidata da Mikheil Saakašvili organizza enormi manifestazioni contro il governo, le quali portano alle dimissioni di Ševardnadze. Tali dimostrazioni, parte della cosiddetta “Rivoluzione delle Rose”, conducono nel 2004 Saakašvili al potere: vince le elezioni col 96% dei voti. Le riforme attuate dalla nuova amministrazione, che punta ancora più a rafforzare il legame con l’Occidente, vengono percepite come una minaccia di sicurezza dal Cremlino: la preoccupazione di perdere influenza nel Caucaso e di un ulteriore ampliamento della NATO in una zona considerata da Mosca come zona d’influenza russa cresce ulteriormente. Nonostante ciò, nel novembre 2007 la Russia annuncia il ritiro delle sue truppe stanziate in Georgia, pur stanziando un reggimento di peacekeeping in Ossezia del Sud e Abcasia.

Un punto di svolta è il vertice NATO di Bucarest, che nell’aprile 2008 discute proprio del possibile avvio del percorso di adesione per Georgia e Ucraina, di fatto ipotizzato come prospettiva non immediata nel comunicato finale – a seguito di un difficile compromesso tra Washington, più propensa ad accelerare l’operazione politico-militare, e gli alleati europei (soprattutto Francia e Germania), decisamente più prudenti.

 

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Anche se la Georgia e l’Ucraina non hanno ricevuto lo status di pre-adesione (Membership Action Plan), sembra doveroso riportare le parole espresse dal Capo di Stato Maggiore russo Yuri Baluyevsky l’11 aprile 2008 «Senza alcun dubbio, la Russia prenderà decisioni per garantire i propri interessi nei suoi confini e non si tratterà solo di misure militari, ma anche di altra natura».

A seguito del vertice di Bucarest, per diversi mesi Tbilisi ha accusato Mosca di preparare un intervento militare per riportare “sotto controllo” la Georgia. A causa di alcuni incidenti avvenuti in Abcasia, nell’aprile 2008 effettivamente il Cremlino ha inviato altre truppe nella regione per “contrastare i piani di attacco della Georgia” contro i separatisti filo-russi; mentre nel mese seguente ha mandato diverse centinaia di soldati disarmati, affermando che fossero indispensabili per alcuni interventi di riparazioni ferroviarie. Successivamente, entrambi i fronti si sono accusati a vicenda di un rafforzamento della presenza militare anche nell’Ossezia del Sud. Convinto di poter contare sul sostegno occidentale, anche perché la Georgia aveva mandato le sue truppe in Iraq, Kosovo e Afghanistan, l’8 agosto 2008 Saakašvili  cerca di ottenere con la forza il controllo sull’Ossezia del Sud. In risposta, Mosca l’esercito russo invade la regione, sostenendo di aiutare i propri cittadini, dal momento in cui molti osseti sono in possesso del passaporto russo. Oltre a stabilire il controllo sulla regione, la Russia allontana la popolazione georgiana e lancia diversi bombardamenti anche su Tbilisi. Nel 2009, un rapporto indipendente commissionato dall’Unione Europea rivela che nonostante la Georgia abbia cominciato il conflitto, la Russia è stata l’artefice di numerose provocazioni.

In seguito al conflitto, Mosca riconosce l’Ossezia del Sud e l’Abcasia come Stati indipendenti, mantenendo la presenza militare nei territori secessionisti. Sebbene Tbilisi non abbia de facto il controllo delle due repubbliche, la maggioranza dei Paesi della comunità internazionale considera tali territori parte della Georgia.

L’Abkasia e l’Ossezia del Sud all’interno della Georgia

 

Nel frattempo, l’esercito russo continua a violare l’integrità della Georgia, spostando le recinzioni della frontiera dell’Ossezia del Sud per circa 1,5 km all’interno del territorio georgiano. Non è noto il numero esatto delle truppe russe stanziate nelle due regioni, ma fonti georgiane suppongono che siano presenti tra gli 8.000 ed i 10.000 soldati. È molto probabile che tale numero sia diminuito da allora, o che continuerà a diminuire, dal momento in cui la Russia si ritrova a combattere una guerra ben più complicata in Ucraina e ha bisogno di nuove forze sul campo.

Con la fine della guerra, l’amministrazione georgiana abbandona la CSI (2009) e tra il 2014 e il 2016 firma un Accordo di Associazione con l’UE. Dal punto di vista interno, quella che viene percepita come una sconfitta contro la Russia riduce il sostegno dei cittadini per Saakašvili fino alle elezioni legislative del 2012, durante le quali il partito di opposizione “Sogno Georgiano” ottiene la guida del Paese, che ha mantenuto fino ad oggi – prima con il presidente Giorgi Margvelashvili e dal 2018 con Salome Zourabichvili, la quale era in possesso anche della cittadinanza francese. Il partito viene fondato da Bidzina Ivanišvili, oligarca accusato di essere simpatizzante filorusso. Nonostante abbia abbandonato ogni incarico pubblico e istituzionale, molti georgiani sostengono che il fondatore di “Sogno Georgiano” continua ad avere un ruolo decisivo, soprattutto per ciò che concerne la politica estera.

A questo punto, è importante far notare che Zurabišvili, nonostante sia stata supportata dal partito “Sogno Georgiano” per molto tempo, si è presentata alle elezioni presidenziali del 2018 come candidata indipendente. Anche se molti osservatori politici e l’opposizione affermano che l’indipendenza di Zurabišvili sembra simbolica, perché nel passato ha partecipato a diverse manifestazioni del partito “Sogno Georgiano”, di recente sta dimostrando di avere idee opposte al governo, in particolare sull’Ucraina. L’attuale Presidente della Georgia ha chiesto una reazione più dura da parte del governo a sostegno di Kiev e si è recata a Parigi e a Bruxelles per riaffermare l’avvicinamento di Tbilisi con l’Occidente. Inoltre, Zurabišvili si sta impegnando a porre il veto contro una proposta di legge da parte del governo che richiederebbe ad alcune organizzazioni di registrarsi come “agenti stranieri” qualora dovessero ricevere finanziamenti esteri superiori al 20% del loro reddito annuale.

L’attacco russo all’Ucraina del 24 febbraio 2022 ricorda per alcune dinamiche l’invasione del 2008 e per tale motivo, a pochi giorni dallo scoppio della guerra tra Kiev e Mosca, Zurabišvili presenta una richiesta di candidatura del Paese all’Unione Europea. Nonostante tale richiesta sia stata approvata nel giugno successivo dal Consiglio europeo, lo status di candidato sarà concesso soltanto una volta che il Paese caucasico avrà soddisfatto alcune condizioni. In particolare, il Parlamento Europeo segnala “violazioni della libertà di stampa e i pericoli per la sicurezza dei giornalisti”. Inoltre, per essere un Paese candidato a Stato-membro dell’UE, è necessaria in Georgia una normativa contro gli oligarchi, i quali esercitano un’influenza eccessiva sulla vita politica e sui media del Paese.

Per quanto riguarda la NATO, le ambizioni transatlantiche della Georgia sono apparse già all’indomani dell’indipendenza. La situazione non è ufficialmente cambiata dal ricordato vertice di Bucarest del 2008, quando i membri della NATO hanno promesso alla Georgia che sarebbe entrata nell’Alleanza non appena si fossero create le condizioni adeguate. Nonostante quasi il 70% della popolazione georgiana sia favorevole all’adesione alla NATO e, di recente, sia il Segretario Generale dell’alleanza Jens Stoltenberg sia l’attuale Premier georgiano Irakli Garibašvili si siano dichiarati ottimisti in proposito, la Russia difficilmente accetterà un tale scenario senza porre ostacoli.

In effetti, nel 2011, l’ex Presidente russo Dmitry Medvedev ha affermato che se la Russia non avesse attaccato Tbilisi nel 2008, la NATO si sarebbe espansa anche in Georgia. Qualora il Cremlino dovesse nuovamente invadere il Paese, non solo la Georgia si troverebbe sprovvista delle capacità militari per affrontare la Russia, ma per l’Occidente sostenere Tbilisi sarebbe ancora più difficile che appoggiare Kiev: geograficamente, la Russia potrebbe facilmente isolare il Paese dalla Turchia, l’unico Stato da cui la Georgia potrebbe essere rifornita di armi via terra.

Anche se l’UE si è sempre detta disponibile a continuare il percorso di adesione della Georgia, il cammino di Tbilisi verso Bruxelles potrà avanzare soltanto una volta superate le difficoltà che affliggono il Paese. Ciò non dipende solo dalla guida politica, la quale dovrebbe tagliare i legami e gli interessi che secondo alcuni osservatori tuttora la tengono parzialmente ancorata alla Russia, ma anche dalla società stessa, sebbene la maggioranza della popolazione (circa l’80%) sostenga l’adesione del Paese all’UE. Nel tentativo di raccogliere i voti anche dagli abitanti filorussi, spesso i membri di “Sogno Georgiano” rilasciano dichiarazioni antioccidentali. Inoltre, il governo non ha adottato nessuna sanzione contro l’invasione russa dell’Ucraina. Probabilmente, tale decisione è stata presa per non alimentare ulteriormente la tensione con la Russia. Bisogna considerare anche che Tbilisi non ha la possibilità di distanziarsi completamente da Mosca per quanto riguarda i settori energetico e alimentare.

 

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Inoltre, qualsiasi ulteriore avvicinamento della Georgia all’Occidente viene considerato da Mosca come una minaccia alla sicurezza nazionale della Russia. Il controllo dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud offrono la possibilità al Cremlino di accrescere la tensione a piacimento e di influenzare la politica e la società georgiana, con lo scopo di mantenere il Paese fuori dalla sfera euro-atlantica.

La guerra in Ucraina accresce però l’importanza di Tbilisi per l’UE, soprattutto dal punto di vista commerciale ed energetico. Dato il collegamento con il Mar Nero, la Georgia sta diventando un Paese di transito chiave per le connessioni tra l’Europa e l’Asia centrale. Sul territorio georgiano transitano il Corridoio Meridionale del Gas e l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), diventati fondamentali dopo il 24 febbraio per l’approvvigionamento energetico dell’Europa.

Viste le difficoltà interne e le costanti minacce russe, per il momento il futuro della Georgia rimane in bilico tra Mosca e Bruxelles – con un ruolo certamente significativo svolto da Washington.

 

 

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