L’India è il terzo emettitore di gas serra al mondo, dopo la Cina e gli Stati Uniti. Secondo le statistiche dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE), nel 2021 il Paese ha contribuito alla produzione del 67% delle emissioni di anidride carbonica mondiali e ha soddisfatto il 58% del suo fabbisogno energetico con il carbone. La forte dipendenza da questo combustibile fossile aveva portato il Presidente Narendra Modi, presente alla COP26 di Glasgow del 2021, a fare pressione per un phase down piuttosto che un phase out dell’utilizzo di carbone nel futuro prossimo. Il ministro dell’Ambiente indiano aveva inoltre insistito affinché i Paesi ricchi stanziassero un fondo per le attività di mitigazione e adattamento a favore delle economie emergenti. Tale misura è poi diventata un punto chiave della COP27 di Sharm-el-Sheikh. Quest’anno l’India non ha partecipato all’evento, ma l’anno scorso aveva annunciato la volontà di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070.
Un input decisivo per la transizione energetica nel Paese asiatico viene dal settore privato. I grandi conglomerati industriali indiani, tra cui Reliance Industries, Adani Group e Tata Group, stanno infatti impiegando ingenti capitali in investimenti verdi. Adani Group per esempio prevede di investire 70 miliardi di dollari entro il 2030 in infrastrutture per l’energia solare e l’idrogeno verde. Al contrario, i progetti a carbone di lungo termine stanno suscitando diffidenza, come testimoniato dall’abbandono dei progetti per la produzione di oltre 600 gw di energia a carbone fatte tra il 2010 e il 2022.
Il governo Modi cerca di sostenere il processo con alcune decisioni come il trasferimento dalla Cina in India della produzione di batterie e veicoli elettrici e una lotta più decisa alla piaga dell’inquinamento atmosferico, che ogni anno causa milioni di vittime, con le città indiane che guidano la lista delle più “tossiche” del mondo.
Nell’elenco delle fonti rinnovabili con cui Nuova Delhi vuole soddisfare il 50% del fabbisogno energetico del Paese entro il 2030, si trovano l’energia solare, eolica offshore e soprattutto l’idrogeno verde, definito da Modi una “missione nazionale”. A questo proposito, lo scorso agosto, il governo ha annunciato la National Green Hydrogen Mission con lo scopo di produrre cinque milioni di tonnellate all’anno di idrogeno verde entro il 2030.
L’idrogeno verde è un combustibile pulito perché prodotto interamente con fonti rinnovabili e particolarmente adatto per la decarbonizzazione del settore industriale e della mobilità a lungo raggio. Attualmente la produzione indiana di questa fonte energetica è irrisoria, mentre il consumo nazionale di idrogeno prodotto con combustibili fossili è di circa sette milioni di tonnellate all’anno. Tuttavia, secondo il governo, l’idrogeno verde potrebbe contribuire fino al 19% dell’energia consumata dall’industria entro il 2070.
Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, l’Amministrazione Modi si sta impegnando in un’intensa attività diplomatica, volta a rafforzare la cooperazione internazionale e poter in questo modo avere accesso ai fondi necessari e alle infrastrutture critiche. I due principali interlocutori interessati ad investire in India sono gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Con entrambi Nuova Delhi ha annunciato la stesura di accordi bilaterali per l’“Agenda del Clima e dell’Energia pulita 2030” in seguito al Summit Internazionale sul Clima dello scorso anno. Su entrambe le sponde dell’Atlantico è infatti aumentato l’entusiasmo per l’idrogeno verde. L’Amministrazione Biden ha proposto un finanziamento di sette miliardi di dollari per la realizzazione di 10 Hub regionali per l’idrogeno, mentre la Commissione Europea ha annunciato l’istituzione di una Banca Europea per l’Idrogeno nel 2023.
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A seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, l’UE sta lavorando per ampliare la cerchia di fornitori energetici, con l’intento di mantenere il ruolo di paladina della transizione ecologica. In quest’ottica, lo scorso settembre la commissaria europeo per l’Energia, Kadri Simson, e il ministro indiano dell’Energia e delle Energie Rinnovabili Kumar Singh hanno inaugurato il primo Forum UE-India sull’idrogeno verde.
All’evento, i rappresentanti hanno discusso l’utilizzo di buone pratiche e tecnologie per la produzione e l’utilizzo dell’idrogeno verde. I finanziamenti per gli ambiziosi obiettivi stabiliti rientreranno nel quadro delle iniziative EU Global Gateaway e REPowerEU. Anche diversi esponenti delle comunità imprenditoriali hanno partecipato al panel, tra cui Vineet Mittal, co-presidente del Renewable Energy Council e Jorgo Chatzimarkakis, CEO di Hydrogen Europe. I due industriali hanno sottolineato l’importanza della cooperazione euro-indiana nel settore dell’idrogeno per la realizzazione dei rispettivi piani di neutralità climatica e per gli sforzi di mitigazione del cambiamento climatico a livello mondiale. La collaborazione euro-indiana ha già avuto successo in passato nello sviluppo delle rinnovabili, ma in futuro potrebbe estendere i propri benefici anche ad altri Paesi del Sud globale. Contribuendo allo sviluppo e distribuzione di tecnologie verdi in quest’area, l’UE manterrebbe fede agli impegni stilati nella Strategia europea per l’Indo-Pacifico e contribuirebbe a cambiare gli equilibri geopolitici attuali tra Paesi produttori e acquirenti di energia.
In India, gli investimenti europei per lo sviluppo dell’idrogeno pulito sono già numerosi. Lo scorso maggio il Governo ha annunciato 39 partnership bilaterali, di cui quasi un terzo con la Germania. John Cockerill, un’azienda tecnologica belga, ha invece costituito una joint-venture con la compagnia indiana Greenko per produrre 2 gw di elettrolizzatori all’anno. TotalEnergies, il gigante petrolifero francese, ha acquistato un quarto di una divisione di Adani Group che sviluppa idrogeno verde. Anche altri Paesi europei, tra cui Austria, Danimarca e Norvegia, stanno lavorando a nuove cooperazioni bilaterali.
Nonostante i numerosi progetti, gli investimenti nelle energie rinnovabili non sono però ancora sufficienti per rendere l’India il futuro hub globale dell’idrogeno verde. La volatilità dei fondi e degli incentivi del governo, la svalutazione della rupia e il rischio di greenwashing influiscono significativamente nella sfiducia degli investitori stranieri. Inoltre, la lobby indiana del carbone controlla vasti bilanci e fornisce lavoro a milioni di cittadini, ed è dunque un ostacolo difficile da superare. Infine, la guerra in Ucraina e il rallentamento dell’economia globale degli ultimi anni minacciano di frenare gli investimenti sostenibili. Secondo Chandra Bhushan, CEO del Forum Internazionale per l’Ambiente, la sostenibilità e la tecnologia, proprio la guerra ha fatto emergere chiaramente le vulnerabilità del quadro di sicurezza energetica dell’India.
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Allo stesso tempo però, questa potrebbe fungere da catalizzatore per l’attuazione del Green Deal e delle altre politiche verdi europee. L’idrogeno verde si identifica come un’importante alternativa al gas russo sia per i Paesi europei che per l’India, sebbene solo il 2% delle esportazioni della russa Gazprom siano destinate a quest’ultima. Tuttavia, il mancato appoggio da parte di New Delhi al tetto ai prezzi del petrolio e la sua decisione di continuare a comprare petrolio da Mosca ha sollevato le critiche dei membri del G7 durante il convegno annuale Gastech 2023 a Milano lo scorso settembre.
Per sviluppare un’intesa efficiente ed efficace, l’UE e l’India dovranno rafforzare la collaborazione nel settore della ricerca, oltre che sviluppare solide catene di approvvigionamento per la fornitura di materie prime e attrezzature, e stilare protocolli per il loro trasporto e stoccaggio.
I vantaggi previsti includono nuovi posti di lavoro, la diminuzione dell’inquinamento, ma anche l’apertura di nuovi mercati e la riduzione delle barriere commerciali. L’aumento della popolazione e del PIL, entrambi sostenuti in India, stanno traducendosi in una domanda di elettricità sempre più difficile da soddisfare. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, entro il 2040 l’India avrà bisogno di costruire una capacità di generazione pari a quella attualmente posseduta dall’Unione Europea. L’idrogeno verde potrebbe essere una valida alternativa al carbone per soddisfare parte del fabbisogno energetico nazionale.