Europe first

L’Europe puissance, letteralmente “l’Europa potenza”, è un concetto che ha conosciuto il suo momento di gloria con la presidenza Chirac in Francia, per poi entrare stabilmente nel vocabolario geopolitico. La visione di Jacques Chirac nel 1997 era molto chiara: di fronte alle sfide geopolitiche mondiali l’Europa doveva mutare lasciando da parte il tradizionale soft power per proiettare una sua visione politica nel mondo con gli strumenti classici della potenza, e quindi anche sviluppando una propria capacità militare. Si trattava di una traslazione dei concetti della politica estera francese al soggetto europeo.

Va ricordato che il concetto di potenza fa parte del lessico classico di un paese che tuttora si definisce come una media potenza di portata globale. Quest’idea di un’Europa potenza nasce in Francia ma trova molteplici interpreti in tutta l’Unione fra coloro per i quali l’Europa non può esistere senza una politica estera e di difesa comune, strumenti necessari per proiettarsi sul quadrante regionale e in certa misura su scala globale. Il concetto di potenza europea viene sposato da tutti quelli che pensano, in un modo o nell’altro, che l’Unione debba dotarsi dell’intera panoplia di strumenti che caratterizza gli Stati-nazione, e dunque di una versione della sovranità nazionale, per esistere. Si tratta di un europeismo neonazionalista, in quanto rivisita in gran parte concetti del pensiero politologico classico, legati al monopolio della forza.

 

I LIMITI DI UN CONCETTO FRANCESE. Al di là della popolarità di queste idee, bisogna considerare alcuni fattori che ne ridimensionano, se non condannano, la validità. Il primo aspetto è la francesità. Paragonabile a un progetto di grande armée contemporanea, la visione di una Europa come potenza militare viene spesso osteggiata in quanto progetto di fondo francese. Esiste quindi una dissonanza fondamentale per l’Europa potenza: i suoi partigiani vorrebbero riprodurre un sistema appunto “alla francese” ma allo stesso tempo rigettano l’idea di una Francia troppo imperialista. Anche se resta il dato di fatto che oggi essa è l’unico paese dell’UE (se si considera la Gran Bretagna già fuori) ad avere a disposizione l’insieme degli strumenti di potenza, inclusa l’arma nucleare.

Testate nucleari nel mondo (giugno 2019). Fonte: Arms Control Association

 

Possiamo dunque dire che è impossibile essere “potente” per l’Europa in quanto è impossibile creare un consenso intorno al modello francese riguardo al punto essenziale della forza militare. In effetti, la maggior parte delle tradizioni politiche e costituzionali europee sono assai più pacifiste di quella francese, il che difficile definire una convergenza verso l’alto sull’utilizzo della forza dinanzi a parlamenti come quello tedesco o italiano, tradizionalmente cauti sull’uso della forza, sia per tendenze politiche sia per un sistema di “prudenza costituzionale”. Ed è tra l’altro per questo motivo che lo sviluppo politico europeo avviene su un comune denominatore diverso: quello dell’allargamento, della legislazione, delle regolamentazioni e del commercio, insomma il soft power europeo.

Emergono altri limiti anche se si prende in considerazione il punto di vista francese. La Francia ha sempre provato a trascinare altri paesi europei nel suo concetto di esercizio della potenza, chiedendo ad esempio sostegno nelle operazioni militari, ma con esiti scarsi. Lasciando da parte il caso del Regno Unito, ormai marginalizzato dalla Brexit, si osserva che i tentativi francesi di coinvolgere i partner europei nell’uso della forza sono stati ultimamente modesti. Se la stagione del dopo guerra fredda aveva innescato una serie di operazioni militari comuni nei Balcani e in Afghanistan, il XXI secolo è stato segnato da una frenata. Dall’intervento in Mali nel 2013 in poi, la Francia si è ritrovata piuttosto sola nella volontà di stabilizzazione del Sahel. Quando ha evocato la clausola di solidarietà europea nel 2015 dopo gli attentati del Bataclan richiedendo l’aiuto militare degli stati membri, ha avuto poche risposte positive (tra cui quelle di Germania e Irlanda).

In Francia, si è quindi diffusa l’idea di un’inadeguatezza dei propri partner europei sulle operazioni di proiezione della forza. L’impegno tedesco in alcuni settori specifici è molto apprezzato a Parigi e alimenta il canale privilegiato fra Parigi e Berlino, ma la Germania rimane legata alla sua cultura pacifista, un fattore che si percepisce nella lentezza della riforma di una difesa poco efficiente. L’Italia era apparsa come un partner militare importante negli anni Novanta, ma questa fase sembra ormai archiviata, tra equilibri politici instabili e altre priorità, che di fatto stanno causando una perdita progressiva di efficacia operativa della difesa italiana – zavorrata da una struttura di costi inefficiente e dal crescente uso dei soldati per funzioni di polizia o di protezione civile. A tutto ciò si devono aggiungere i difficili rapporti con Parigi che stanno caratterizzando l’attuale governo italiano.

Le missioni militari francesi nel 2019. Di queste, solo cinque hanno una qualche coordinazione all’interno dell’Unione Europea. Fonte: Ministère des Armées.

 

A Parigi, le conclusioni sono nette: per le operazioni militari serie, si può fare affidamento sugli Stati Uniti, qualche volta sul Regno Unito, e basta. E quindi non si pensa più ad aggregare una difesa comune europea che rischierebbe di essere bloccata per colpa dei veti incrociati da parte dei governi nazionali. Tra l’altro non viene dimenticato che la spesso celebrata brigata franco-tedesca non è mai stata impiegata in operazioni esterne. Possiamo quindi dire che i francesi stessi diffidano di una politica di difesa comune che potrebbe imbrigliare il loro interventismo.

 

LE PROSPETTIVE REALI DI UNA SOVRANITÀ EUROPEA. Una volta sgomberato il campo da questo equivoco, bisogna osservare alcune evoluzioni recenti intorno ai concetti di proiezione europea che offrono un interessante compromesso, una ripresa del dibattito sul “potere europeo” che non è però né “politica di potenza” ma nemmeno completamente soft.

Il “Rinascimento europeo” evocato da Emmanuel Macron nella sua lettera agli europei del marzo 2019 ingloba il concetto di potenza senza però farne il perno centrale – come era invece il caso nel pensiero di Chirac. Invece, il presidente francese si concentra sul concetto di “sovranità europea” da lui proposto durante la campagna elettorale del 2017. Il programma di Macron come candidato all’Eliseo diceva che “la vera sovranità passa tramite un’azione europea, in un quadro rinnovato”1. Macron sviluppa quindi un’idea di Europa che estende le sue protezioni di fronte ai pericoli del mondo attuale: si tratta in qualche modo di una doppia garanzia, sia nazionale che europea. Macron descrive questa crescita parallela come un gioco a somma crescente, e si pone in netta opposizione nei confronti dei molti che considerano la sovranità una dimensione chiusa, una somma stabile, pensando che qualsiasi estensione della sovranità europea significhi sottrarre una corrispondente sovranità a livello nazionale. L’analisi di Macron rompe con questo paradigma conservatore, spesso adoperato dai sovranisti, per risolvere il problema dall’alto. Per Macron, usare l’espressione “sovranità europea” è anche un modo di rispondere ai sovranisti e ai partigiani della “ripresa del controllo” di impostazione trumpiana.

Da questo punto di vista va rilevato come Macron abbia insistito sui concetti di “autonomia strategica” e di “sovranità” all’inaugurazione della prima sessione dell’Intelligence College in Europe a Parigi, il 5 marzo 20192. Anche qui fece un uso pragmatico del termine sovranità, presentando in modo parallelo la sovranità nazionale e la sovranità europea. Assistiamo quindi a un’evoluzione importante del concetto di “Europa potenza” degli anni Novanta, perché non si tratta oggi di un’idea espansiva, interventista, ma piuttosto essenzialmente difensiva: un modo per affermare la capacità di resistere alla pressione e all’invadenza di potenze esterne. Macron nel suo discorso del 5 marzo parla non soltanto dei pericoli comuni come il terrorismo o di ISIS, ma insiste anche sul rischio di dipendenza dall’intelligence raccolta da Stati Uniti, Russia o Cina.

Se il concetto di “Europa potenza” sembra delicato da maneggiare e difficilmente può aggregare consensi larghi a livello europeo, l’Europa sovrana di Macron apre invece strade per consensi più larghi. Un fattore importante emerge nell’evoluzione della posizione tedesca. Il caso Snowden, da cui emerse (sotto la presidenza Obama) che gli Stati Uniti spiavano in modo metodico il governo tedesco, ha scosso Berlino portando a una dolorosa presa di coscienza in Germania che da quel momento sembra dubitare dell’alleato statunitense – una diffidenza che è aumentata con la presidenza Trump. Dal 2013 abbiamo assistito a una crescente volontà di proteggere i dati europei, anche se per ora si è trattato di dichiarazioni per lo più prive di effetti concreti. Il cambio di paradigma è comunque notevole per la Germania.

In Francia, del resto, assistiamo alla stessa tendenza, ma con meno attenzione mediatica visto che la Francia lavora da tempo sulla capacità di spionaggio elettronico su larga scala, proprio nel contesto della sua visione di “potenza” nazionale. Inoltre la Francia intrattiene una relazione stretta con gli USA da un punto di vista strategico-militare, un fattore che si è accentuato dopo l’operazione in Mali del 2013, a tal punto che si è spesso evocata l’ipotesi di un’integrazione della Francia nel gruppo dei “5 eyes”, la comunità di condivisione delle informazioni di intelligence fra Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda.

L’evoluzione della posizione tedesca ha posto le basi per creare una convergenza nel cuore dell’Europa sulle questioni riguardanti la sovranità dei dati, spingendo sia per un rafforzamento degli strumenti nazionali che per una serie di iniziative europee comuni. Questa convergenza politica ha permesso l’accelerazione dell’agenda digitale europea che, dalla direttiva NIS all’adozione della GDPR, ha compiuto una serie di passi in avanti negli ultimi anni.

Emmanuel Macron e Angela Merkel

 

Sullo sfondo di un mutamento di priorità strategiche, dunque, il concetto di “Europa sovrana” appare molto meno isolato e urticante di quello di Europa potenza. Dietro la giusta attenzione verso la tutela e la protezione dei dati nei confronti di attori esterni all’Unione, osserviamo una serie di questioni di fondamentale importanza legate al comparto scientifico, tecnologico e industriale. In misura crescente, le politiche tecnologiche nazionali ed europee si stanno confrontando con la problematica della sovranità delle informazioni legate allo sviluppo e all’uso delle tecnologie.

 

UN NUOVO CONSENSO SUL “SOVRANISMO TECNOLOGICO”. I rapidi cambiamenti che caratterizzano il comparto del digitale e delle nuove tecnologie vedono l’Europa minacciata dalle incursioni che sono riconducibili ad altri governi – come nel caso delle intrusioni americane, russe o cinesi – ma anche da parte di attori industriali basati in questi paesi che mettono il trattamento e la raccolta dei dati su basi mondiali al cuore del loro modello di azione. Diventa estremamente difficile distinguere fra competizione sulla tecnologica e sull’accesso ai dati, talmente le due cose sono intrecciate.

Se le capacità nazionali europee in materia di ricerca, sviluppo e industria sono ben note, va anche rilevato che la politica tecnologica rappresenta uno dei migliori esempi di azione della Commissione europea, la quale con lo sviluppo dei programmi quadro per la ricerca ha saputo definire un forte strumento di azione comune a partire dal 1984. Il recente voto al Parlamento europeo a favore di un Fondo europeo di Difesa rappresenta l’ultimo episodio di un lungo camino per creare una capacità di investimento in ricerca e tecnologia di difesa, una vera e propria politica della difesa europea che ha visto la Commissione impegnarsi dal 2017, sotto la spinta dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini. In realtà quello che viene presentato – giustamente – come un passo decisivo per l’Europa della difesa non è altro che un’ulteriore strumento di politica tecnologica e industriale. Questo, se da un lato conferma la validità del metodo europeo di sostegno alla ricerca e allo sviluppo, illustra al contempo anche l’impossibilità (almeno a breve termine) di avere progressi tangibili da un punto di vista operativo, a dimostrazione dei limiti di un idea di potenza classica europea.

Assistiamo oggi, dunque, a un’accelerazione a livello europeo di iniziative legate al settore tecnologico, con la crescita di una percezione di diffidenza nei confronti delle potenze esterne, ma anche con la consapevolezza che la dimensione del mercato europeo rende necessario un approccio sinergico fra gli stati membri per evitare di essere spazzati via da potentati geotecnologici.

E, come detto, è qui essenziale l’evoluzione di una Germania, anch’essa alle prese con varie forme di nazionalismo, che ha però integrato il fattore tecnologico in una visione di politica estera, così rafforzando i progetti in comune con la Francia. Ad esempio, il progetto di un DARPA europeo, denominato JEDI (Joint European Disruptive Initiative), nato in ambienti vicini alla presidenza francese, ha associato dall’inizio interlocutori e partner tedeschi i quali condividono una visione strategica basata sulla necessità di uno sforzo europeo in materia tecnologica, anche per difendere il modello europeo nei confronti della Cina. L’innovazione in senso più ampio rappresenta un terreno sul quale la Germania si muove volentieri, a differenza della difesa.

Queste linee di tendenza dimostrano che siamo di fronte a una potenziale convergenza intorno all’idea di Europa sovrana lanciata dalla presidenza Macron e declinata in vari progetti tecnologici. Essi rappresentano inoltre un solido motivo per ulteriori investimenti pubblici che possono contribuire allo sviluppo degli Stati-membri. Questa Europa indipendente non è legata alle varie rivendicazioni sovraniste, ma rivisita il concetto di sovranità per cercarne un’ulteriore realizzazione al livello europeo.

Aver abbandonato gli attributi della “potenza” classica rappresenta quindi un progresso per l’Europa, anche dal punto di vista di un’analisi realistica e pragmatica del contesto globale. Certo, il panorama europeo non offre per ora risposte univoche alla questione della sovranità, specificamente nella sua dimensione tecnologica. Di fronte a questo progetto, alcuni rifiuteranno l’idea di sviluppare ulteriormente una “sovranità tecnologica europea”, anche in nome di sovranità nazionali che però ben si sposano con interessi di potenze esterne straniere. Il caso del programma spaziale europeo Galileo ci aveva già insegnato la valenza internazionale di un progetto tecnologico comune.

Speriamo che la lezione non sia dimenticata e consenta all’Europa di utilizzare la finestra di opportunità del “sovranismo tecnologico” per fare un salto in avanti sui progetti e sulle istituzioni europee. Vi sono interessi molteplici, nazionali ed europei, che potrebbero trovare un esito positivo nella maggiore disponibilità di fondi e di crescita del quadro cooperativo. Più Europa quindi, con uno sforzo per promuovere e consolidare il comparto tecnologico e scientifico, in coerenza sia con l’Agenda di Lisbona, mai realizzata, che con le esigenze di sviluppo degli Stati-membri. La cornice deve essere una visione politica attenta alla competizione mondiale e alla valenza strategica del connubio fra tecnologia e dati.

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