Tra il 16 e il 25 gennaio 2023 la politica di difesa tedesca ha vissuto giorni decisivi, seppur non risolutivi. La prima data è quella delle dimissioni della ministra della Difesa Christine Lambrecht (SPD), sostituita entro 72 ore dal collega di partito Boris Pistorius. La seconda data è l ‘annuncio del cancelliere Olaf Scholz dell’invio di carri armati Leopard 2 in Ucraina. In dieci giorni si sono concentrati dibattiti esistenziali sullo storico problema militare della Germania, così come reazioni eterogenee alle forti pressioni interne ed esterne nei riguardi di Berlino sulla questione dell’invio di armamenti pesanti nel teatro russo-ucraino.
Pressioni che Scholz ha in parte assorbito e in parte respinto, decidendo di mandare una prima compagnia di 14 Leopard 2 A6 (teoricamente entro fine marzo), ma richiedendo il contemporaneo “sì” di Washington all’invio a Kiev di carri da combattimento M1 Abrams (31, seppur con tempistiche più lunghe di consegna), per “normalizzare” la decisione tedesca in un più vasto ciclo di aiuti occidentali. Berlino ha anche garantito l’autorizzazione necessaria all’invio di panzer di produzione tedesca da parte di Polonia e altri partner, con l’obiettivo di “assemblare rapidamente due battaglioni di carri armati Leopard 2 per l’Ucraina”. Vista la situazione del fronte orientale ucraino, con l’iniziativa ripresa dalle forze russe, le tempistiche e le modalità delle consegne di questi mezzi saranno una discriminante significativa.
La cautela tattica del governo Scholz
Scholz si è mosso sui Leopard con la classica cautela tattica tedesca, andando consapevolmente ad esasperare alcuni alleati internazionali e nazionali che spingono invece per un’accelerazione attiva nel confronto indiretto con Mosca e per un contenimento più deciso della Russia. La cautela di Scholz ha inevitabilmente espresso anche una innegabile rivendicazione di autonomia politica.
Se si guarda ai mesi successivi all’invasione dell’Ucraina, le evoluzioni nel settore militare in Germania sono comunque storiche. All’alba della guerra, a Berlino si discuteva ancora se mandare o meno 5.000 elmetti protettivi a Kiev, mentre pochi giorni dopo si è deciso di stanziare 100 miliardi per la Bundeswehr tedesca. Nelle settimane successive gli invii di armi in Ucraina sono stati lentamente ma progressivamente approvati, fino all’invio di sistemi di difesa aerea come l’Iris-T e, appunto, all’annuncio sui Leopard 2, a lungo considerati un passaggio troppo rischioso in considerazione delle relazioni future tra Mosca e Berlino.
Passaggio per cui Scholz ha cercato con ostinazione il “coordinamento e la stretta collaborazione con gli alleati internazionali”, dichiarando poi al Bundestag che muoversi in maniera diversa avrebbe comportato “gravi rischi”. Il Cancelliere socialdemocratico ha così cercato di mettere insieme due prospettive: rispettare la promessa di aiuto all’Ucraina e, contemporaneamente, non mettere in atto nessun “Alleingang”, cioè nessuna “fuga in avanti solitaria”. Di fatto, questo significa rifiutarsi attivamente di assumere un qualche ruolo europeo di leadership militare.
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Se si è parlato di “leadership riluttante” tedesca in altri contesti, in quello militare la condizione è infatti ancora più palese. Le motivazioni storiche della riluttanza tedesca nell’ambito della difesa sono più che note. Ma il paradosso perenne di Berlino riemerge: la Germania non sarà mai un Paese qualsiasi e le saranno sempre richiesti comportamenti specifici. Questo vale sia che Berlino si muova all’interno dell’Unione Europea sia, sempre di più, all’interno della NATO. Sul piano militare, inoltre, la politica tedesca vive una crescente contraddizione, frutto del suo storico economicismo: essersi pensata per decenni come avanguardia del multilateralismo, ma esprimere poi un’industria bellica nazionale di primo livello. Il Leopard 2, infatti, non è diventato solo simbolicamente decisivo perché tedesco, ma anche perché è uno dei carri armati considerati più efficaci dagli eserciti di tutto il mondo – soprattutto in termini di complessità dell’addestramento necessario (relativamente scarsa) e capacità operative
La necessità delle dimissioni di Lambrecht per la linea di Olaf Scholz
La Germania, come altri, si è trovata totalmente impreparata davanti all’invasione russa dell’Ucraina, imprevista e inattesa a Berlino. La politica tedesca prevedeva di occuparsi della sua Bundeswehr senza strappi e accelerazioni e, ovviamente, non reagendo di giorno in giorno a una drammatica guerra in Europa. Emblematica è stata la scelta, ancora nel dicembre del 2021, di Christine Lambrecht come ministra della Difesa nell’appena insediato governo Scholz. Da tempo il ministero della Difesa è considerato in Germania un ruolo che brucia le carriere, ma Lambrecht – al contrario di predecessori come Ursula von der Leyen e Annegret Kramp-Karrenbauer – è apparsa come una ministra “debole” fin dai primi giorni, anche per il semplice fatto che lei stessa avrebbe preferito un altro dicastero.
Lambrecht era stata quindi scelta come una funzionaria col compito di gestire una lenta risistemazione dell’esercito tedesco. Ma con l’invasione dell’Ucraina, la politica socialdemocratica si è trovata in una tempesta ingovernabile. Il cancellierato ha preso di fatto la delega sulla Difesa già da fine febbraio 2022. Lambrecht è però ugualmente riuscita a inanellare una serie di gaffe che avversari e media non si sono lasciati sfuggire, a partire da quelli più critici con la linea dello stesso Scholz sull’Ucraina. Affrontare la questione Leopard 2 nei giorni più decisivi avendo ancora Lambrecht come ministro, quindi, avrebbe indebolito moltissimo Olaf Scholz. Il Cancelliere è stato invece ora assistito da un ministro, Boris Pistorius, lanciato comunicativamente come un pragmatico risolutore e con un mandato troppo nuovo per poter essere attaccato.
Pistorius resta un politico profondamente in linea con il Cancelliere e il suo commento sulla decisione sui Leopard 2 è stato emblematicamente scholziano: “non abbiamo esitato, abbiamo negoziato”. Il neo-ministro tedesco della Difesa si troverà ora di fronte a un lavoro interno da tutti definito mastodontico e dovrà infine accettare che la guerra in Ucraina continuerà a plasmare e ad accelerare l’irrinunciabile riforma strutturale ed epocale della Bundeswehr. Una riforma per cui la Commissaria per le Forze Armate del Bundestag tedesco, Eva Högl, ha recentemente detto che non ci vorranno 100 miliardi di euro, ma almeno 300.
I prossimi passi del Cancelliere
Sull’invio di armi in Ucraina, intanto, continuerà a decidere Scholz, seppur in coordinamento con Pistorius. La gestione del caso Leopard 2 ha dimostrato che il Cancelliere vuole tenere in mano le redini della questione. Le critiche che gli sono state rivolte per il suo cauto tergiversare vengono anche dall’interno della maggioranza, soprattutto da Verdi e Liberali, ma mai realmente dai suoi ministri. C’è da rilevare un’impostazione come quella della ministra degli Esteri, la Verde Annalena Baerbock, che è comunicativamente molto più critica verso Mosca (e Pechino) rispetto al Cancelliere, ma che fino ad ora non è intervenuta concretamente sulla Realpolitik del governo tedesco. Un tentativo di mutare davvero questa linea pragmatica, agganciandosi a pressioni internazionali esterne, passerebbe per significative lacerazioni nell’esecutivo di Berlino.
La sponda trovata da Scholz presso Joe Biden, che ha di fatto accettato parzialmente la negoziazione tedesca sui Leopard, rafforza inoltre la posizione del Cancelliere, che rivendica anche di mantenersi in connessione con l’opinione pubblica tedesca. Il 25 gennaio, infatti, Scholz ha fatto riferimento diretto a un elettorato che avrebbe in parte paura di un’escalation europea del conflitto in Ucraina, dichiarando che “ogni sera, molti cittadini guardano la televisione e sperano che il governo e il Cancelliere mantengano i nervi saldi. E posso assicurarglielo: lo hanno fatto e lo faranno”. Scholz ha poi aggiunto che con l’invio dei Leopard la Germania non sarà “assolutamente parte della guerra” e ha ribadito che la NATO non sarà mai parte del conflitto.
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La domanda tedesca di garanzie americane nell’invio di armi all’Ucraina è stata chiaramente una richiesta di condivisione del rischio al Paese guida della NATO, e si basa innanzitutto sull’idea che tale condivisione sia automaticamente anche una riduzione decisiva dello stesso rischio. Lo scenario riafferma ovviamente anche la centralità di Washington per la difesa tedesca ed europea. Ne risente così il concetto di “autonomia strategica” caro alla Francia, secondo cui la UE dovrebbe provvedere da sola alle proprie esigenze di sicurezza e difesa. O, forse, ne emerge l’idea che per Berlino l’autonomia strategica europea non sia una prospettiva che debba essere declinata oggi nel confronto con Mosca. In questo senso sarà utile vedere come evolverà la posizione di Parigi, incluso l’invio di carri armati Leclerc in Ucraina. Poca influenza su Berlino hanno invece dimostrato di avere le scelte di Londra, l’alleato più apprezzato da Kiev in Europa Occidentale, così come da paesi come Polonia, paesi Baltici o specifici segmenti transnazionali dell’alleanza atlantica.
I critici più radicali della linea Scholz hanno accusato il Cancelliere – almeno fino all’annuncio dell’invio dei Leopard 2 – di voler mantenere in vita un dialogo più robusto con Mosca, per poter velocemente ricostruire un nuovo legame economico dopo una fine, seppur lontana, del conflitto in Ucraina. Berlino respinge da sempre con determinazione queste accuse e ricorda ogni volta di essere effettivamente uno dei governi che più hanno sostenuto Kiev dall’inizio dell’invasione, finanziariamente e militarmente. Altri accusano semplicemente Scholz di applicare una cautela tattica che in verità esprimerebbe mancanza di leadership e l’incapacità di affrontare il nuovo mondo emerso dal 24 febbraio 2022.
Discussioni di questo tipo sull’operato di Berlino torneranno probabilmente di nuovo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. A seconda dell’evoluzione del conflitto nell’Ucraina orientale e sud-orientale, si discuterà potenzialmente dell’invio occidentale a Kiev di aerei da combattimento o forse perfino di una no-fly zone. “Olaf Scholz si dichiara assolutamente contrario ad attraversare simili nuove linee rosse e si appella anche in questo caso all’impostazione di Washington. Ma la forma che assumerà l’impegno della NATO nel conflitto sarà probabilmente ancora oggetto di difficili confronti tra gli alleati, con sicure ripercussioni sulla politica tedesca.