La crisi di fiducia sui mercati europei sta influendo anche sul settore energetico. A metà dicembre 2011 le quotazioni del greggio hanno perso, in un solo giorno 1,7 punti percentuali e quelle del gas 1,9 punti sul mercato dei futures di New York. Un segnale inviato dai mercati proprio mentre si svolgeva il vertice dei leader europei sulla crisi economica e il contenimento del debito pubblico. Al netto dei fenomeni speculativi, questi numeri lasciano intravedere delle importanti tendenze di medio termine.
L’agenzia internazionale per l’energia (IEA) ha ridotto le sue previsioni sulla domanda mondiale di greggio a 89 milioni di barili al giorno per il 2011 e 90,3 per il 2012 (200 mila unità in meno rispetto alle stime precedenti). Molti analisti hanno indicato questo dato come il risultato della sfiducia sulla capacità dei membri dell’Unione Europea di fare fronte comune contro la crisi del debito e dell’euro.
Guardando sempre ai dati di dicembre, il livello di produzione dei paesi dell’Opec ha intanto fatto registrare il suo massimo negli ultimi tre anni. Questo dato va visto in prospettiva: nell’ultimo anno il prezzo del barile ha subito un incremento del 25% e il clima economico è ora particolarmente incerto. La ripresa della produzione è anche un riflesso delle scelte politiche interne di alcuni paesi e si collega ai nuovi assetti della regione mediorientale La crisi di produzione causata dalla guerra in Libia ha stimolato, tra l’altro, il protagonismo di attori in parte nuovi come il Qatar (non solo nel settore energetico ma anche in politica estera). Ora la Libia punta a tornare ai livelli produttivi pre-bellici, e ha fatto registrare gli aumenti più consistenti assieme all’Arabia Saudita. Nelle previsioni al 2016 i paesi che guidano gli aumenti di produzione sono Iraq, Emirati Arabi e Angola – anche nell’ottica di una crescita della domanda interna nelle stesse economie mediorientali.
La situazione si presenta però assai diversa se si guarda a un altro attore-chiave sui mercati energetici, cioè la Russia (che non è membro dell’Opec). Il primo ministro Vladimir Putin (oggi impegnato in una delicata battaglia politica interna per tornare alla presidenza) ha più volte annunciato, già nel 2010, di voler coordinare le politiche russe di produzione di petrolio e gas naturale con quelle dell’Opec. In realtà le dichiarazioni celano una divergenza di approcci: dal 2008 i paesi dell’Opec hanno deciso di calmierare i prezzi del greggio e i loro effetti sull’economia globale, mentre la Russia si è sempre chiamata fuori da questa politica. Se si dovesse realizzare una convergenza sulle posizioni russe, le conseguenze sarebbero molto negative soprattutto per l’Europa e il Giappone, ma anche per gli Stati Uniti, in questa fase di grave difficoltà per la crescita. Diversa è la posizione della Cina, che gioca la sua partita sulle capacità di raffinazione del greggio ed è meno direttamente influenzata dal prezzo del barile.
Altri rischi per gli interessi europei derivano dalla ridotta capacità di investire risorse adeguate nello sviluppo delle infrastrutture e “autostrade” energetiche che dovrebbero garantire gli approvvigionamenti del futuro. E restano naturalmente molte variabili aleatorie, come lo scenario di un conflitto che coinvolga l’Iran o un’ondata di instabilità politica in alcuni paesi arabi del Golfo.
In ultima analisi, l’intreccio dei fattori energetici con la crisi economica dei paesi occidentali è stretto: tra molti motivi di incertezza, un dato certo è l’esigenza che gli europei si muovano in modo coordinato nel vitale settore degli approvvigionamenti. Non è davvero il momento di lasciarsi tentare da iniziative isolate e tantomeno piccole battaglie competitive intra-europee.