Il prossimo giugno la Polonia ospiterà, insieme all’Ucraina, i campionati europei di calcio; avrà dunque l’occasione irripetibile per mostrare al modo intero i risultati conseguiti negli ultimi due decenni. Per più di un mese i riflettori saranno puntati sul paese, in particolare sulle città dove si disputeranno gli incontri: Varsavia, Danzica, Poznan e Breslavia.
Metropoli moderne con grandi stadi, aeroporti e stazioni rinnovate per l’occasione, dotate di una rete infrastrutturale e di servizi in grado di accogliere l’enorme flusso di tifosi e turisti che giungeranno da tutta Europa; i cantieri ancora aperti, la corsa per completare gli ultimi lavori, il fremito che vive il paese in attesa del grande evento sportivo, uniti alla voglia di farsi trovare pronti. Tutto ciò è lo specchio fedele di una nazione che ha vissuto negli ultimi anni profondi cambiamenti e che sta attraversando una fase storica felice.
Fra gli stati dell’Europa centro-orientale la Polonia è quello che ha saputo superare al meglio la transizione da un regime comunista con un’economia pianificata ad una democrazia compiuta con una economia di mercato. Dal 1993, la Polonia ha registrato un aumento costante del Pil, e gode oggi di un benessere sociale mai sperimentato in precedenza. Tra il 2004 e il 2008 il paese ha attraversato una fase di boom economico con un tasso di crescita medio del 4%: il doppio rispetto alla media europea. La congiuntura negativa ha solamente frenato questa crescita. La Polonia è stato l’unico paese europeo a chiudere il 2009 con un Pil in aumento (+1,3%), che già dal 2010 ha ricominciato a viaggiare ai tassi pre-crisi (+3,4 %).
Il settore privato è quello maggiormente cresciuto, grazie alle privatizzazioni di piccole e medie imprese susseguitesi nel corso degli anni. Numerosi sono stati gli investimenti stranieri, spesso nel settore dei servizi. A tenere la Polonia al riparo dagli effetti peggiori della crisi ha contribuito in maniera significativa il sistema bancario del paese, che concentra i propri investimenti soprattutto sull’economia interna, date le sue prospettive di sviluppo: effettivamente, il 44% della popolazione non ha ancora un conto corrente bancario. Quindi, gli istituti di credito si sono comportati prevalentemente come operatori nazionali, investendo la propria liquidità nell’economia interna.
Il successo della Polonia non è solamente di carattere economico, ma anche di natura politica. La giovane democrazia polacca sembra essersi scrollata di dosso le paure di un passato tormentato senza lasciarsi sedurre dai sentimenti ultranazionalisti e populisti che hanno attecchito in altri stati dell’ex blocco sovietico, come l’Ungheria di Victor Orbàn.
In occasione del voto del 9 ottobre scorso, gli elettori polacchi hanno confermato la loro fiducia al leader conservatore moderato Donald Tusk. Non era mai successo dal 1989 che il primo ministro uscente – era in carica dal 2007 – ottenesse dalle urne un secondo mandato consecutivo.
Il grande sconfitto della tornata elettorale è stato Jarosław Kaczyński, che aveva già guidato il paese tra il 2006 ed il 2007, durante la presidenza della Repubblica del fratello gemello Lech. I due avevano reintrodotto in Polonia una serie di politiche autoritarie tanto sul piano sociale che su quello delle libertà personali. Emblema del governo Kaczyński, la politica della “lustracija” obbligava docenti, politici, giornalisti e in generale il tessuto civile e culturale polacco a dichiarare di non avere avuto rapporti con il passato governo comunista per evitare di essere allontanati da ogni carica pubblica. I gemelli, espressione di una destra nazionalpopulista, avevano anche intrapreso una politica estera estremamente euroscettica che aveva portato ai minimi storici i rapporti sia con la Germania sia con la Russia, e isolato il paese dal resto dell’Europa.
Tale tendenza è stata invertita dai risultati delle ultime elezioni. Il voto fotografa un paese che complessivamente guarda con fiducia al domani e che, a oltre vent’anni dalla caduta del comunismo, vuole dimostrare che la fase di transizione si è conclusa con successo. A Tusk è stata riconosciuta la capacità di guidare il paese durante la crisi e di guadagnare nuovo credito in Europa, come ha confermato anche l’elezione di Jerzy Buzek alla presidenza del parlamento europeo.
La Polonia di oggi appare dunque come un’isola felice, non solo se confrontata con gli altri ex-membri del blocco socialista, ma anche con il resto del continente: una giovane e solida democrazia sostenuta da una economia stabile. Il paese ha saputo sfruttare le occasioni offerte dall’adesione all’Unione Europea e in essa ha saputo ritagliarsi uno spazio importante, cercando di valorizzare il suo ruolo di ponte tra oriente e occidente. Buona parte della classe politica e dell’opinione pubblica sono consapevoli che i risultati raggiunti negli scorsi anni sono spesso stati possibili grazie all’appartenenza all’Unione: perciò, il consenso pro-europeo si è quindi consolidato.
Tuttavia, osservando più attentamente la realtà polacca, appare evidente che il paese nell’immediato futuro dovrà affrontare nuove e difficili sfide. Il vero vincitore della contesa elettorale sembra essere stato l’astensionismo. Quasi il 50% degli elettori non si è presentato alle urne, a testimonianza della sfiducia che serpeggia nei confronti della politica. I dati delle elezioni mostrano, inoltre, un paese fortemente diviso: una frattura politica e sociale separa le grandi città della parte occidentale dalle campagne orientali, rimaste emarginate dallo sviluppo che sta vivendo il resto del paese. Proprio in queste aree, infatti, ha fatto più presa il messaggio di Jarosław Kaczyński. Il mondo agricolo, uno dei pilastri tradizionali della società polacca, ha rappresentato in passato la maggior forza di opposizione all’ingresso della Polonia nell’Unione Europea, anche perché convinto di non essere in grado di competere con i mercati europei.
D’altro canto, il risultato raggiunto dal neonato Movimento Palikot, che con il 10% dei voti è diventato la terza forza politica, è indicativo di un mutamento sociale in corso: il leader Janusz Palikot, infatti, non ha problemi ad assumere atteggiamenti anticlericali, e a chiedere maggiori diritti per gli omosessuali, la legalizzazione dell’aborto e delle droghe leggere. Ciò dimostra come una parte della società polacca chieda risposte su temi finora trascurati in un paese che sempre ha trovato nel cattolicesimo un fattore fortemente unificante.
La disoccupazione ha fatto registrare il massimo storico lo scorso anno (12%), soprattutto tra i giovani. Sempre più numerosi sono i giovani laureati o con un livello d’istruzione superiore che lasciano il paese, nonostante la crescita e i molti investimenti stranieri. Alcune riforme necessarie, come quella del sistema sanitario nazionale, sono state rimandate, mentre quella del sistema pensionistico, appena attuata, ha creato un profondo malcontento. Inoltre, la crescita della Polonia è stata in gran parte sostenuta, fino ad ora, dai fondi europei per lo sviluppo. Nei prossimi anni questi saranno destinati ai futuri membri dell’Unione, come Croazia, Serbia ed altri paesi dell’ex Yugoslavia. L’economia polacca dovrà dunque farsi trovare preparata, dovendo contare solo sulle proprie forze.
Il rapporto tra la Polonia e l’Unione Europea potrebbe infine incrinarsi sulla questione dell’euro. Dopo la crisi greca e i problemi manifestatati da altre economie continentali, la moneta unica ha perso buona parte della sua attrattiva. La Polonia ha potuto evitare il contagio anche grazie alla svalutazione della moneta nazionale, che ha mantenuto alti i livelli dei consumi interni, sostenuto le esportazioni e reso convenienti gli investimenti stranieri. L’ingresso nell’euro previsto per il 2012 è stato quindi rimandato, in attesa di tempi migliori, al 2014.