Limiti e conseguenze dell’accordo UE-Turchia sui rifugiati

L’accordo stretto tra il Consiglio Europeo e il governo di Istanbul ha indubbi pregi ma suscita anche alcune perplessità, in termini di opportunità, eticità, ed efficacia. La via più normale sarebbe consistita nel mantenimento della chiusura della via balcanica, accompagnato da una sanatoria per i rifugiati accampati a Idomeni e altre località della Grecia, magari con un deflusso lento in modo da non ingenerare infondate speranze in chi si trova ancora in territorio turco. Le sanatorie, a lungo andare, intaccano certo la credibilità delle politiche di rigore; ma al momento dell’introduzione di tali politiche sono spesso un’utile misura transitoria. A Bruxelles è prevalso un orientamento antitetico.

La strada atipica scelta dalla Signora Merkel riflette il dilemma in cui si è venuta a trovare a seguito della generosa politica della porta aperta (ai siriani, in quanto considerati veri profughi) da lei adottata l’anno scorso e della frenata impostale dai sondaggi d’opinione, da molti suoi alleati politici e dalle realtà concrete. Nel 2015 la Germania è stata in grado di assorbire l’urto di un milione di rifugiati e migranti, grazie anche all’entusiasmo di numerosi volontari; ma le strutture destinabili all’accoglienza e i mezzi e le energie delle amministrazioni locali si vanno esaurendo, e non consentono quindi di aprire le porte a un altro milione o più ogni anno. Un discorso analogo si può fare per l’Italia.

Per inciso, l’anno passato la vituperata Austria, oltre ad assistere il transito dei migranti diretti in Germania, ne aveva accolti 90mila: in proporzione quasi quanto la Bundesrepublik (è come se il nostro Paese se ne fosse accollati, al netto di quanti lasciati filtrare nei paesi confinanti, 600mila). Raggiunto il livello di saturazione (che risponde però a una valutazione chiaramente politica, dunque discrezionale), il cancelliere socialista Faymann non ha esitato a spostarsi su una linea crudamente realista: occorre dare un chiaro segnale che la diga è ormai chiusa. Un segnale che arrivi fino alle tendopoli in Anatolia e alle città bombardate in Siria: a questo sono servite le desolanti immagini delle donne e i bambini seduti in terra fra le pozzanghere alla frontiera greco-macedone, le interviste con uomini che dicono: se avessimo previsto questo non saremmo partiti.

La Cancelliera tedesca ha pure dovuto lanciare un rigoroso segnale dissuasivo ma, per rimanere in qualche modo fedele a se stessa, senza rinnegare la prospettiva della accoglienza. Ne è risultata una certa bizzarria  (“un siriano in cambio di un siriano”) del metodo che ha concordato col premier turco e fatto accettare ai riluttanti partner.

Un pregio di questo metodo è che, almeno teoricamente, toglie ogni incentivo all’immigrazione illegale dalla Turchia alla Grecia, anzi la penalizza, annullando così il business dei trafficanti. O forse sarebbe meglio dire: costringendoli a spostarsi sulla più costosa rotta Egitto-Italia o Libia-Italia…L’altro pregio è che disincentiva drasticamente le rischiose fughe sui gommoni sovraffollati e offre una speranza di immigrazione legale, in piena sicurezza e a costo zero (il costo sarà a carico dell’UE).

Una debolezza di tale soluzione sta nei numeri: quella speranza di immigrazione legale di qualche decina di migliaia di persone in cambio di altrettanti profughi riportati in Turchia (si parla di circa 70mila) va spalmata su milioni di sfollati e rifugiati che aspirano a rifarsi una vita nell’Europa centro-settentrionale. Alcuni (unicamente siriani) saranno indotti ad aspettare; ma quanti altri preferiranno rischiare?

Altro motivo di perplessità è l’estremo rigore di una misura di deportazione verso la Turchia con cui si intende – per dissuadere altri – punire chi è entrato illegalmente in Grecia dopo esser stato già punito dalle durissime condizioni di vita a Idomeni o altre discariche umane, e in qualche caso dalla perdita di parenti durante la traversata. Perplessità sul piano umanitario (tanto più che molti sono donne e bambini) nel caso di persone classificabili come migranti, perplessità anche sul piano giuridico per i richiedenti asilo. Senza contare l’enorme spesa prevista per il trasporto Grecia-Turchia.

Tutto ciò riguarda solo indirettamente l’Italia, o meglio la riguarda in quanto la ricompensa promessa alla Turchia crea un precedente; ma non serve a frenare il flusso migratorio verso le nostre coste, al contrario. Il governo spera di poter invocare il principio che chi si tiene i migranti o deve riprenderseli (regola di Dublino) verrà indennizzato, o quanto meno otterrà sconti sul tetto al deficit. Ma la dinamica demografica del continente africano con il conseguente potenziale migratorio, il caos libico in cui prosperano i trafficanti, e l’arrivo della buona stagione promettono un massiccio aumento degli sbarchi, anche senza contare quelli che potrebbero risultare dal dirottamento del traffico Turchia-Grecia. Parallelamente aumenterà il disagio delle Regioni che non saranno più in grado di far fronte a nuove allocazioni di migranti da sistemare; e ancor più le tensioni con i partner europei che freneranno il deflusso o ci rimanderanno gli “indesiderabili” (tenendosi i più integrabili) in base a Dublino, e con quelli che continueranno ad opporsi alla redistribuzione  a livello europeo.

Insomma, ci aspetta una serie di grandi sfide per l’Italia, oltre che per l’Europa.

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