“Guerra fratricida” o “aggressione della Russia”? L’atteggiamento fin qui tenuto al riguardo dell’attuale conflitto in Ucraina ha attirato diverse critiche alla diplomazia vaticana. L’intensità critica mostrata dal Papa e dalla Santa Sede nel caso della guerra in Siria, in particolare nel settembre 2013, non è in effetti paragonabile con la posizione assunta finora sulla crisi ucraina. A risentirsene, è stata soprattutto la Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, che è molto presente e attiva anche negli Stati Uniti, dove risiede una folta comunità di emigrati ucraini. Ma anche alcune cancellerie europee.
Nel primo caso, il Papa è intervenuto con forza per condannare la possibilità di un intervento armato in Siria – ventilata allora dagli Stati Uniti – convocando addirittura una veglia di preghiera in Piazza San Pietro, il 7 settembre 2013. Nel caso dell’Ucraina, invece, Bergoglio non è mai intervenuto per censurare il comportamento della Russia, ma è sembrato voler mettere sullo stesso piano i due Paesi contendenti. Va tuttavia tenuto presente che nel caso della Siria l’azione diplomatica della Santa Sede non era rivolta direttamente “contro” gli Stati Uniti per fermare l’intervento armato, bensì a favore della ricerca di una soluzione negoziale alla guerra che evitasse una escalation di violenza.
La reazione della Chiesa greco-cattolica di Kiev e delle diplomazie filo-ucraine è stata causata soprattutto dall’ultimo appello del Pontefice per la pace, lanciato al termine dell’udienza generale mercoledì 4 febbraio: “Chiediamo al Signore che cessi al più presto questa orribile violenza fratricida” aveva detto il Papa. E aveva aggiunto: “Io penso a voi, fratelli e sorelle ucraini… Pensate, questa è una guerra fra cristiani! Voi tutti avete lo stesso battesimo! State lottando fra cristiani. Pensate a questo scandalo”.
Per gli Ucraini parlare di “guerra fratricida” anziché di “aggressione della Russia” è inaccettabile. Già il 21 dicembre scorso il Patriarca della Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, Monsignor Sviatoslav Shevchuk, Arcivescovo di Kiev, aveva lanciato un grido di allarme per la sopravvivenza della sua comunità in Crimea e negli altri territori annessi alla Russia: “In Crimea e nei territori occupati la libertà religiosa è già assente” aveva dichiarato il Patriarca. Dal 1° gennaio, infatti, in tutti i territori dell’Ucraina tornati nell’orbita di Mosca è entrata in vigore la legge che impone di registrarsi a tutte le Chiese e confessioni religiose diverse da quella ortodossa russa.
Sui 44 milioni di abitanti dell’Ucraina, i greco-cattolici fedeli a Roma sono circa cinque milioni, ai quali si aggiungono i cattolici di rito latino e i ruteni. Durante gli anni del regime comunista sono stati costretti a rimanere nella quasi clandestinità, sottoposti a una dura persecuzione, in particolare da parte di Stalin. Ora, secondo il Patriarcato greco-cattolico di Kiev, lo scenario presente durante la dominazione sovietica rischia di ripetersi in Crimea. La Chiesa greco-cattolica ucraina è spregiativamente definita “uniate” dagli ortodossi di Mosca, perché ritornò sotto l’orbita del Vaticano nel 1596 a seguito dell’Unione di Brest. In questi mesi i cattolici ucraini hanno espresso posizioni decisamente nazionaliste e si sono schierati apertamente contro il governo di Mosca. Perciò hanno duramente criticato la presa di posizione del Papa che, secondo loro, ha messo sullo stesso piano aggressori e aggrediti.
Un giudizio molto critico sulle parole del Pontefice è stato espresso anche da Anatolij Babynskyj, direttore di una rivista greco-cattolica molto vicina al patriarcato. A suo avviso l’appello di Bergoglio “mostra l’ignoranza del Papa sulla situazione in Ucraina” e la presenza di “forze filo-russe” in azione in Vaticano. Probabilmente hanno contribuito a questo atteggiamento le parole del Patriarca ortodosso di Mosca Kirill, che il 3 febbraio, proprio alla vigilia della pronuncia papale, aveva criticato il nazionalismo della Chiesa greco-cattolica lodando invece l’equilibrio della posizione della Santa Sede. Si è così indurita la reazione greco-cattolica, portando a sollevare il sospetto di un accordo tra Roma e Mosca.
A seguito di tutte queste reazioni la Santa Sede è dovuta nuovamente intervenire con una dichiarazione di Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa, che il 10 febbraio ha precisato: “Di fronte alle diverse interpretazioni che sono state date alle parole del Papa, specialmente quelle di mercoledì 4 febbraio, ritengo utile precisare che Egli ha sempre inteso rivolgersi a tutte le parti interessate, confidando nello sforzo sincero di ciascuna per applicare le intese raggiunte di comune accordo e richiamando il principio della legalità internazionale, al quale la Santa Sede ha fatto riferimento più volte da quando è cominciata la crisi”.
Il Papa vuole naturalmente apparire sopra le parti e, allo stesso tempo, vorrebbe mostrarsi partecipe degli sforzi della comunità internazionale, in particolare del Presidente francese François Hollande e della Cancelliera tedesca Angela Merkel, per trovare una soluzione negoziale alla crisi. Ma soprattutto non vuole che ai confini dell’Ucraina sia combattuta una “guerra per procura” tra Stati Uniti e Russia. Perciò la diplomazia vaticana, guidata dal Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin, è fortemente contraria all’idea americana di armare le forze ucraine. Una linea che sarà ribadita dal Pontefice in tutti i prossimi contatti ai massimi livelli, compresi quelli con il governo tedesco e i vescovi ucraini.
La posizione della Santa Sede sulla crisi Ucraina è fortemente influenzata dal dialogo ecumenico. Papa Bergoglio ha teso una mano al Patriarca Kirill, offrendogli la sua piena disponibilità a un incontro in qualsiasi luogo: a Mosca, a Roma o in un Paese terzo. Per il momento il Patriarcato di Mosca non ha risposto, tuttavia non manca mai di mostrare attenzione e apprezzamento per l’azione del Papa, come avvenuto appunto anche nel caso dell’Ucraina. Si può dire in effetti, in tal senso, che tra Roma e Mosca si sta creando un asse privilegiato.
Allo stesso tempo Bergoglio intrattiene rapporti molto stretti anche con l’altro “polmone” del mondo ortodosso: quello greco, rappresentato dal Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I. Il Papa ha voluto abbracciare il Patriarca di Costantinopoli a Gerusalemme, il 25 maggio 2014, poi lo ha voluto accanto a sé in occasione della preghiera per la pace in Vaticano l’8 giugno, insieme con il Presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen. Infine il Pontefice si è recato in Turchia lo scorso 28 novembre per incontrare ancora una volta Bartolomeo.
Sullo sfondo di tanto attivismo internazionale c’è anche il Sinodo panortodosso in programma nel 2016 a Istanbul. In questa prospettiva la Santa Sede punta a tenersi equidistante rispetto al mondo ortodosso russo e a quello greco, in competizione fra loro. D’altra parte, nell’ottica della riforma del papato che l’azione del Pontefice vorrebbe incarnare, il tema del rapporto con il mondo ortodosso è cruciale perché attiene alla questione del primato di Pietro. Le Chiese ortodosse infatti, sono dette “autocefale” e non riconoscono il primato del Papa di Roma. Un possibile punto di incontro nel dialogo ecumenico, potrebbe essere quello di riconoscere il pontefice come un primus inter pares tra i leader delle Chiese cristiane d’Oriente e d’Occidente. Alla luce di queste considerazioni si comprende la difficoltà di Bergoglio di prendere una posizione più favorevole e netta nei confronti della Chiesa greco-cattolica ucraina, il cui nazionalismo la mette in decisa contrapposizione con quella di Mosca.
Il Papa, in conclusione, ha scelto una via stretta che passa per un deciso rilancio dell’azione multilaterale della comunità internazionale di fronte ai conflitti e alle crisi umanitarie – e che dunque non è certo sotto il pieno controllo della Santa Sede. Questo rimane, in definitiva, il leitmotiv della politica estera vaticana: equidistanza tra le parti in conflitto, difesa del diritto umanitario, freno alle azioni unilaterali dei singoli Paesi (come un eventuale intervento degli Stati Uniti a sostegno delle forze ucraine), promozione dell’approccio multilaterale privilegiando le Nazioni Unite e l’Unione Europea.