Il quadro interno tedesco è in movimento. Angela Merkel rimane senza dubbio la principale protagonista di questa convulsa fase della vita dell’Unione Europea: è difficile sottovalutare l’influenza che la Cancelliera tedesca sta esercitando sulle decisioni che, di fronte alla crisi finanziaria, stanno assumendo le istituzioni comunitarie. Tale esibizione di leadership verso l’esterno non corrisponde, però, ad una situazione di forza all’interno dei confini della Repubblica federale, dove sia i risultati di tutte le più recenti elezioni nei Länder, sia i sondaggi, presentano uno scenario preoccupante per la dirigenza democristiana.
Se si votasse la prossima domenica, è assai probabile che si determinerebbe un mutamento profondo del panorama politico: la coalizione fra la CDU della Cancelliera e i liberali della FDP otterrebbe meno seggi nel Bundestag dell’alleanza fra il partito socialdemocratico (SPD) e quello ecologista (Grüne). Si confermerebbe cioè il trend di vittorie “rosso-verdi”, cominciato nel maggio 2010 in Nordreno-Vestfalia, che ha già condotto ad un importante cambio di equilibri nella Camera alta, il Bundesrat, dove la coalizione di governo non gode più della maggioranza dei seggi.
Coscienti di questo stato di cose, le due maggiori forze di opposizione hanno celebrato nelle scorse settimane dei congressi particolarmente importanti, allo scopo di definire i tratti essenziali del progetto che sottoporranno al giudizio degli elettori nelle elezioni federali del 2013. Come da tradizione nella politica tedesca, ciascun partito mira, da un lato, a definire con la massima chiarezza il proprio profilo e, dall’altro, a segnalare con quali forze politiche esista una maggiore sintonia in vista della formazione di un governo di coalizione.
I congressi appena tenutisi hanno evidenziato come la SPD e i Grünen abbiano intenzione di ripetere l’esperienza di collaborazione del settennato del Cancelliere Gerhard Schröder (1998-2005) senza rinunciare, tuttavia, a mettere in luce i temi su cui le loro opinioni divergono – come le infrastrutture o il sostegno all’industria automobilistica. Un difficile esercizio di equilibrio volto a “diversificare l’offerta” per rivolgersi a segmenti differenti di elettorato, ma allo stesso tempo a lanciare un messaggio di affidabilità. L’opinione pubblica ha mostrato inequivocabilmente di non gradire il litigio continuo che contraddistingue la difficile vita della colazione democristiano-liberale, segnata da una sorta di “gara dei distinguo” fra i due soci che l’ha condotta a dissipare in pochi mesi il consenso raccolto nel 2009.
I riconoscimenti reciproci fra i due possibili partner di un esecutivo post-Merkel rappresentano anche una chiara delimitazione di campo, volta ad escludere il terzo partito attualmente all’opposizione, la Linke, da future costellazioni di governo. Si tratta di una questione non secondaria nelle strategie del campo progressista tedesco, che è stata all’origine di turbolenze nel seno della SPD negli anni passati: basti pensare al destino di Kurt Beck, il governatore della Renania-Palatinato che fu eletto nel maggio 2006 alla segreteria del partito e già nel 2008 rimosso da una sorta di putsch d’apparato, proprio per avere formulato caute aperture sull’ipotesi di collaborazioni con la Linke anche nei Länder dell’ovest. Per i socialdemocratici, infatti, continuano ad essere ammissibili rapporti con tale formazione solo nelle regioni della vecchia DDR, in virtù del carattere di partito di massa (Volkspartei) e dell’orientamento generalmente moderato che in quei territori la Linke possiede. A differenza dell’ovest, dove raggruppa (ad eccezione della piccola Saar, feudo di Oskar Lafontaine) prevalentemente nuclei di militanti di ultrasinistra, decisamente meno abituati ad esperienze di governo.
Fra le risoluzioni approvate dai delegati verdi e socialdemocratici, rispettivamente riuniti dal 25 al 27 novembre a Kiel e dal 4 al 6 dicembre a Berlino, ve ne sono alcune degne di menzione, proprio per le loro similitudini. In relazione alla politica fiscale, ad esempio, da entrambi i congressi è emersa la volontà di aumentare determinate imposte, non risparmiandosi autocritiche per gli anni del Gabinetto Schröder, contraddistinti da una politica di riduzione delle tasse.
I Grünen propongono di elevare l’aliquota più alta dell’imposta sul reddito dal 42% attuale al 49%, introducendone una ulteriore del 45% per i redditi fra i 60 mila e gli 80 mila euro annuali; soglia dalla quale si applicherebbe l’aliquota massima. Analogamente, la SPD fissa al 49% la massima percentuale d’imposta sui redditi delle persone fisiche, anche se considera dovrebbe applicarsi solo a partire dai 100 mila euro. Entrambi i partiti ritengono opportuno, inoltre, appesantire la tassa di successione e introdurre una patrimoniale per le ricchezze superiori al milione di euro, allo scopo di fare fronte all’aumento del deficit: un’imposta di scopo, dunque, che verrebbe rimossa una volta raggiunto l’obiettivo del consolidamento del bilancio federale. A questo proposito va sottolineato come né verdi né socialdemocratici mettano in discussione il principio del freno all’indebitamento (Schuldenbremse), inserito nella Costituzione tedesca nel 2009: questo è ritenuto una delle misure-chiave da parte di Merkel e del Presidente francese Sarkozy per affrontare la crisi.
Il candidato presidenziale del PS François Hollande è stato l’ospite d’onore dell’assise della SPD, dalla quale è emersa la volontà di inscenare una sorta di asse franco-tedesco alternativo a quello esistente: i socialisti delle due sponde del Reno hanno voluto presentarsi come i portatori di una comune visione di un’Europa fondata sulla crescita come condizione fondamentale per il consolidamento dei bilanci. Nella risoluzione sulle questioni comunitarie approvata al congresso di Berlino, oltre a disegnare un sistema istituzionale più parlamentare-federale e meno intergovernativo, si afferma la necessità di regolare i mercati finanziari: obiettivo da perseguire attraverso il divieto delle operazioni maggiormente speculative, l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie nell’Eurozona, così come di un’agenzia europea di rating, per «liberare gli stati dai fuorvianti diktat» di quelle esistenti. A conclusioni analoghe sono giunti anche i delegati verdi, a dimostrazione di un’indiscutibile sintonia con i socialdemocratici in questo ambito.
La convergenza fra i due partiti è facilitata dalla stabilizzazione dei loro rapporti di forza, dopo una fase di mobilità elettorale che aveva condotto i Verdi addirittura a superare la SPD nel Baden-Wuerttemberg. Quell’exploit, tuttavia, non si è ripetuto alle elezioni di Berlino, malgrado i Grünen avessero candidato a sindaco-governatore una loro leader federale. È fondato trarre la conclusione, perciò, che l’onda verde abbia raggiunto la sua altezza massima: certamente significativa, ma tenuta a “distanza di sicurezza” da una SPD tornata a credere in se stessa dopo la pesante sconfitta di due anni fa. La primazia del campo progressista è di nuovo saldamente nelle sue mani.