A partire dall’11 settembre 2001, la lotta contro il terrorismo internazionale di matrice islamica ha rappresentato l’opzione strategica principale per le forze di sicurezza e i servizi segreti statunitensi. Una scelta che sembrava confermata anche dal fatto che il principale attacco terroristico sul suolo americano degli ultimi anni, quello di Little Rock del giugno 2009, era stato condotto da un militare ispirato dall’ideologia jihadista. Tutto questo implicava che, da un lato, si privilegiasse l’attenzione per le minacce esterne rispetto a quelle interne; e, inoltre, che ci si concentrasse sulla protezione dei bersagli più visibili e istituzionali come possibile obiettivo del terrorismo internazionale.
L’attentato di Tucson dell’8 gennaio contro la deputata democratica Gabrielle Giffords, seriamente ferita in una sparatoria nella quale hanno perso la vita altre sei persone, ha riproposto tuttavia all’America la pressante realtà di un fronte interno trascurato per un decennio, quello dei movimenti violenti di estrema destra. Una realtà che già negli anni Novanta dell’era Clinton aveva mostrato in più occasioni la propria pericolosità, in particolare con le 168 vittime dell’attentato di Oklahoma City nel 1995. Evento di cui l’attacco di Tucson (secondo le prime indagini) sembra in parte ricalcare il copione, in quanto atto isolato perpetrato con tecniche rudimentali e in un’area decentrata contro un simbolo del potere di Washington.
Sebbene molti commenti di parte liberal si siano concentrati sul possibile ruolo dei media conservatori nell’influenzare l’attentatore, è utile ricordare che nell’America profonda è presente da decenni un vasto sottobosco di ideologie e organizzazioni di estrema destra potenzialmente inclini alla violenza. Una realtà estremamente variegata e frammentata che tuttavia trova un comune denominatore nella diffidenza verso il potere federale (che da alcuni è visto come negativo in quanto tale, da altri come legittimo ma sviato da governanti corrotti e anti-americani) e nell’adesione a teorie cospirative di varia natura. Il potere di Washington, in queste costruzioni ideologiche, viene variamente associato a cospirazioni ebraiche, della finanza internazionale, del comunismo, degli atei e delle Nazioni Unite, volte a privare gli americani delle loro libertà personali e religiose, e a sottomettere gli USA e i bianchi americani a un governo filo-comunista.
Tra i gruppi che propugnano questi tipi di ideologie, i più noti sono probabilmente quelli di matrice “suprematista bianca”, con i propri capostipiti nel Ku Klux Klan e nel movimento xenofobo ottocentesco Know Nothing. Sebbene queste organizzazioni oggi contino poche migliaia di aderenti e siano ben lontane dai fasti della prima metà del Novecento, la loro virulenza non è diminuita. Negli ultimi anni hanno subito un processo di “nazificazione”, che le ha portate ad essere più simili alle estreme destre europee. Intanto si sono molto decentrate sul territorio, rendendo più difficile l’infiltrazione delle forze di sicurezza. In stati come l’Arizona, i gruppi suprematisti sono in prima linea contro l’immigrazione dei latinos, classificati tra le razze “inferiori” non bianche.
Accanto (e in parte sovrapposto) a questi gruppi troviamo poi il movimento dell’estrema destra cristiana noto come Christian Identity, a cui fanno capo gruppi come Aryan Nations (la cui connotazione cristiana li distingue da altri, che si rifanno al paganesimo celtico, così come parte della destra radicale europea). Questi si contraddistinguono per l’adesione alla corrente teologica del British Israelism, che identifica nei popoli di origine anglo-sassone l’autentico popolo eletto di cui parla la Bibbia, mentre gli Ebrei sarebbero i discendenti di Caino, derivanti dal seme di Satana. Nell’ambito della Christian Identity troviamo anche piccoli gruppi religiosi e sette apocalittiche, come quella di David Koresh che nel 1993 fu protagonista dei fatti di Waco, in Texas (dove più di 70 persone morirono nell’incendio di un ranch assediato dalle forze federali). Sempre in ambito religioso, al confine con la destra cristiana mainstream, troviamo poi i gruppi antiabortisti più radicali come Operation Rescue, che negli ultimi decenni si sono impegnati in numerosi blitz contro le cliniche dove si eseguono aborti. In casi sporadici, estremisti cristiani sono giunti all’omicidio di medici abortisti, il più recente nel maggio 2009 in Kansas.
Un altro filone della destra radicale è rappresentato dal cosiddetto Patriot Movement, nome con cui gli studiosi classificano un cluster di organizzazioni che comprende sia gruppi tradizionali della destra anticomunista come la John Birch Society, sia realtà più recenti, come le frange più intransigenti dei Tea Party. Queste organizzazioni mostrano un orientamento anarco-libertario, un attaccamento intransigente alla costituzione americana (vista quasi alla stregua di un testo religioso) e un’estrema ostilità verso il governo federale. In quest’ambito, non a caso, sono presenti anche le organizzazioni di rivolta fiscale come il Posse Comitatus, che contestano il diritto all’imposizione fiscale del governo. Ma, soprattutto, i gruppi che difendono il diritto costituzionale a portare armi, spalleggiati dalla potentissima National Rifle Association (NRA). Tra di essi, i più noti e diffusi sono le milizie paramilitari locali, già attive nel secondo dopoguerra con organizzazioni come i Minutemen. Esse si sono sviluppate in particolare negli anni Novanta dopo i fatti di Waco e l’approvazione del NAFTA (visto come un passo fondamentale verso la cessione di libertà fondamentali dei cittadini da parte dello stato americano) e oggi contano alcune decine di migliaia di aderenti. Questi gruppi sono dei veri e propri eserciti locali fuori da ogni controllo legale, perfettamente armati e pronti a reagire contro qualsiasi percezione di violazioni di diritti del popolo americano, in particolare proprio il diritto al possesso di armi.
Nel complesso, tutte queste realtà (che spesso si sovrappongono in vario modo, in quanto i membri delle milizie sono in genere anche attivisti cristiani e, spesso, suprematisti bianchi) hanno tenuto un basso profilo durante l’era Bush, con relativamente pochi episodi di violenza. L’attentato di Tucson potrebbe rappresentare un campanello d’allarme che segnali un ritorno alla virulenza e all’estrema ostilità verso il potere federale e verso il mondo liberal che aveva caratterizzato gli anni della presidenza Clinton. Come si è detto, molti commentatori si sono scagliati contro Fox News e l’ala del partito repubblicano che fa riferimento a Sarah Palin, per avere contribuito a creare un clima d’odio verso i liberal e il potere costituito. L’accusa appare pertinente solo in parte, in quanto eventi come quello di Tucson s’innestano su una realtà sociale e ideologica certamente preesistente a Sarah Palin e ai Tea Party. Esiste tuttavia il pericolo che la retorica dei media e dei politici della destra possa rappresentare una sponda per i gruppi estremisti, diffondendo e giustificando (anche tra persone dal labile equilibrio mentale come Jared Lee Loughner, l’attentatore di Tucson) quelle che fino ad ora erano considerate concezioni politiche di una frangia estrema.
Per quanto riguarda le implicazioni strategiche, se quello di Tucson non si rivelasse solo un fatto isolato si renderà necessaria una revisione della dottrina di sicurezza nazionale: si dovrebbe infatti prendere nuovamente in considerazione le minacce interne, e lavorare per garantire la sicurezza delle istituzioni e dei cittadini non solo nei grandi centri del potere, ma anche nelle ramificazioni della provincia americana. Al presidente Obama si pone poi una scelta di fondo: se attaccare (come fece già Clinton dopo Oklahoma City) la destra in quanto fomentatrice di odio; oppure, come il presidente sembra avere intenzione di fare in base alle prime reazioni, inquadrare gli eventi di Tucson nel suo sforzo di riconciliazione nazionale bipartisan.