Camminando in Piazza Tahrir in questi giorni di proteste, la sensazione era che più importante della repressione e della risposta fosse il coraggio del cambiamento. Ecco un’istantanea: le poche automobili che circolano nella zona sigillata strombazzano felici alla vista dei carri dell’esercito, che non ha partecipato alla reazione; la gente passeggia sulla Corniche, i giovani spingono lo sguardo lontano sull’orizzonte e sul cuore, il passante sorride. Alcuni manifestanti avanzano pacifici, sostenendo cartelli dignitosi, con scritte in inglese e arabo: hanno voglia di parlare, di esprimersi. Compare e a tratti impera il senso inebriante di un nuovo codice espressivo, di una nuova intesa di cittadinanza: di essere usciti dalla gabbia. Il sentimento è leggero e trasversale e proprio per questo magnifico: perché nasce dal profondo ed è segnato da una grande dignità. Non ci sono Che Guevara, non ci sono eroi o figure di riferimento: ognuno trova al proprio interno quel tanto di dignità da potere invocare rispetto anche dallo Stato e dalla politica; è un sussulto di orgoglio umano.
È questo l’aspetto nuovo e dirompente della protesta egiziana, concentrata nella Piazza Tahrir, cioè della “Liberazione”: perché è una liberazione da catene profonde quella che è sgorgata nel cuore
del Cairo. Una novità che in realtà non è una novità, se è vero che da secoli tanti dervisci, proprio al Cairo, cantano di un antico “risveglio”…
È un risveglio che, una volta assaggiato, nessun pestaggio e nessuna manipolazione potrà cancellare: perché quel sapore di libertà e dignità, quella “fierezza di essere umani”, rimarrà impresso per sempre nel palato dei giovani e meno giovani, cristiani e musulmani, Fratelli e secolarismi che si sono ritrovati e hanno convissuto a Tahrir. È quel sapore che una volta assaggiato impedisce di restare come prima: la sensazione di essere liberi non potrà più andarsene dal cuore di questi coraggiosi che sono riusciti ad essere se stessi e superare i loro fratelli tunisini, cui guardavano con invidia lanciando lodi su Facebook nei primi giorni di Tunisi, senza sperare od osare di fare altrettanto…
Nella sua semplicità il risveglio scardina anche parecchi stereotipi occidentali sulle rivoluzioni e sul cosiddetto “Medio Oriente”. Non ci sono capi carismatici, non c’è un progetto radicale di cambiamento della società. C’è la voglia di essere più se stessi, la rivoluzione è prima di tutto interiore e fa suonare all’unisono le anime di comunità diverse. È soprattutto una rivoluzione d’indole pacifica (un onore che tante manifestazioni e rivoluzioni europee hanno mancato), la rivoluzione dei sorrisi e della condivisione: lo stare insieme in modo nuovo è una novità dirompente, perché si attesta su codici originali rispetto ai modelli occidentali.
Tahrir ci dimostra che c’è una società civile nel Mediterraneo arabo, che ha finora battuto palpiti sommessi ma profondi. Una società civile che, paradossalmente, convive e batte in contrappunto con la sorella israeliana, che osserva preoccupata – ma con assonanze sorprendenti – il cambiamento del mondo e del modo di essere nel mondo.
Per la prima volta nella nostra coscienza recente una lezione di civiltà viene dal mondo arabo all’Occidente. Qualunque cosa succeda, questo coraggio ha già immortalato la libertà nelle anime della generazione attuale. Nessuna repressione la potrà cancellare e vivrà nelle coscienze delle generazioni a venire.
Yes, they can.