Negli ultimi mesi l’economia del Brasile è crollata, e a parlare sono i dati. Nel 2014 è entrata in una fase di stagnazione: il PIL dello scorso anno non è praticamente cresciuto (+ 0,2%) e per quest’anno è prevista una diminuzione tra lo 0,6 e l’1,5%.
La motivazione di questa svolta negativa va ricercata sia all’interno che all’esterno del paese. Sicuramente, a livello internazionale ha pesato il rallentamento dell’economia cinese (primo partner commerciale del Brasile) e dell’Europa, ma anche la crisi in Argentina, che sappiamo essere il primo mercato di sbocco dei prodotti manifatturieri brasiliani, e non ultimo l’apprezzamento del dollaro.
Ma non dobbiamo guardare solo fuori dal Brasile per trovare le cause della crisi economica, perché al suo interno tanti sono i problemi irrisolti. Anzitutto, l’elevato tasso di inflazione che nel 2014 è stato pari al 6,5% e che nei primi mesi del 2015 è salito al 7,5%, ma che è difficile ridurre perché concentrato soprattutto nel settore dei servizi: questo trend dovrebbe far muovere il governo in una direzione alquanto scomoda, con importanti cambiamenti soprattutto nella politica fiscale e in quella economica.
Quello che è il Brasile sta vivendo è un mix di tasso d’inflazione elevato e aumento della disoccupazione, che contribuisce a deprimere i salari e i redditi reali, mentre le imprese investono poco o nulla per via dei continui aumenti dei tassi di interesse. Infatti la produzione industriale è calata nel 2014 del 3,2%: il peggior risultato degli ultimi cinque anni[1].
Allo stato attuale la performance economica brasiliana si può paragonare al volo della gallina: si è passati da una repentina crescita dal PIL a un tonfo secco. Il paese avrebbe fatto così una specie di salto in alto, ricadendo subito a causa del suo peso, delle sue limitazioni fisiche e dell’incapacità di volare[2].
Ora la priorità del governo deve essere quella di evitare un ulteriore downgrading del paese (già declassato), e di tornare ad attrarre credito ed investimenti privati. Ciò può essere perseguito tramite nuove misure di riequilibrio fiscale e una severa correzione dei conti pubblici, interrompendo il modello finora adottato fondato su una spesa pubblica eccessiva, sul clientelismo e sull’inefficienza della pubblica amministrazione.
Intanto, a rischio ci sono i progressi fatti in tema di lotta alla povertà e di maggiore inclusione sociale che inevitabilmente dipendono in modo cruciale dalla crescita economica. Nel 2001 il 37,5% della popolazione era povero: poco più di dieci anni dopo, nel 2012, la percentuale della popolazione in povertà si era ridotta quasi della metà, al 18,6%. Quindi, se la crescita non si riprenderà vigorosamente e presto, i passi in avanti fatti nel passato decennio saranno, solo un lontano ricordo[3].
Se questi sono i fatti, duri e innegabili, è possibile però adottare un’altra visione: proviamo ad ascoltare una voce fuori dal coro, ma neanche troppo, che non nasconde un velo di ottimismo e arriva dal libro “Brasil: historia do futuro” di Miriam Leitao. La giornalista – sulla base di un lavoro lungo tre anni, tra interviste, viaggi, analisi dei dati e testimonianze di esperti – sottolinea alcune tendenze del Brasile nei settori quali l’ambiente e il clima, la demografia, l’istruzione, l’economia, la politica, la salute, l’energia, l’agricoltura, la tecnologia. Tendenze che non possono essere ignorate per avere un buon quadro di insieme[4].
Nella presentazione del libro Miriam Leitao dice “Siamo il primo paese della biodiversità nel mondo, siamo il secondo più grande serbatoio di acqua dolce, abbiamo il maggior potenziale di energia rinnovabile per chilometro quadrato. Siamo e saremo nel piccolo gruppo di paesi fornitori di cibo”. C’è ottimismo nelle parole di Miriam, che pur non risparmia critiche al governo Dilma per la perdita di credibilità dei conti pubblici e l’uso di controllo dei prezzi per contenere l’inflazione[5].
Ricorda sempre l’autrice che viviamo in un paese in recessione, ma nel 1990 l’inflazione in qualsiasi mese dell’anno avrebbe superato l’inflazione annuale di oggi, e ricorda ancora che la stabilità della moneta non è comunque minacciata.
Una delle cause dell’insuccesso del Brasile è sicuramente l’ambito dell’istruzione, ma anche qui ci sono luci e non solo ombre: nonostante la necessità di grandi miglioramenti, il diritto all’insegnamento, negato durante il regime militare, è stato conquistato a passi continui nel processo di democratizzazione del paese.
Sempre la Leitao ricorda che anche una questione demografica deve essere motivo di maggiore attenzione, cioè il processo di invecchiamento. Nel 2050 il Brasile avrà metà della popolazione economicamente attiva con più di cinquant’anni e un numero di ottuagenari che si quadruplicherà. È uno scenario, come vediamo, abbastanza simile a quello europeo e che sicuramente necessiterà di una riforma della previdenza e un forte investimento nell’assistenza per le persone anziane – anche se l’allungamento della vita è sicuramente un dato positivo per il Brasile.
In sostanza, il libro della Leitao riflette un punto di equilibrio tra quello che c’è di migliore e di peggiore nel Brasile di oggi. La più grande sfida per il paese è guardare l’orizzonte che sta di fronte all’attuale crisi brasiliana, indicando quali sono gli obiettivi prioritari e quali le capacità da mobilitare
Se vogliamo offrire una nota positiva da una prospettiva in qualche modo italiana, possiamo ricordare che nel nostro EXPO di Milano il padiglione del Brasile ha raggiunto il milione di visitatori, certificando un grande successo anche per l’immagine del paese. Christine Concheso, direttore del padiglione brasiliano, spiega che ormai, “la rete del padiglione”, una delle icone della manifestazione, non è soltanto un gioco o un’attrazione, ma è una metafora del sistema di produzione alimentare brasiliano capace di coinvolgere diversi attori e di integrare le innumerevoli risorse che fanno del Brasile un campione di biodiversità[6]. Ecco una buona base per immaginare il futuro della maggiore potenza latinoamericana.