Difesa (antimissile) a oltranza

In occasione della Lecture del 17 settembre a Roma (organizzata da Aspen Italia e dallo IAI), il Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha delineato tre passaggi per dare vita a un rapporto più costruttivo con la Russia. Il primo passo è la realizzazione di un vasto programma di difesa antimissilistica incentrato sulla NATO (dunque concepito in modo multilaterale) e aperto alla Russia; il secondo è un’iniziativa per riaprire i negoziati sulle forze convenzionali in Europa, prendendo atto del pericoloso stallo del  Trattato CFE del 1990 (che la Russia ha cessato di rispettare, al contrario dei paesi NATO); il terzo passo è l’avvio di un negoziato per la riduzione delle forze nucleari a corta gittata (che la Russia possiede in grande quantità).

 La logica proposta da Rasmussen è pragmatica, e lo scenario che ne deriva è plausibile, ma decisamente ottimistico. In altre parole, si tratta di un “best case scenario” che presuppone la convergenza di varie circostanze favorevoli. È molto interessante scomporre i tre passaggi per meglio capire le sfide che l’Alleanza si trova di fronte nel sostenere, e tradurre in un formato più ampio, il “reset” verso Mosca avviato dall’Amministrazione Obama fin dal 2008.

Il cuore del nuovo approccio è senza dubbio la riformulazione del programma di difesa antimissilistica, che ha una storia quasi bizzarra alla spalle visto che era diventato uno dei maggiori oggetti di contesa russo-americana soprattutto nel corso della seconda amministrazione Bush. A scanso di equivoci, va infatti ricordato che il programma è in larghissima misura in mani americane. La scelta di Barack Obama è stata quella di rallentare anzitutto la fase di schieramento dei primi componenti del sistema, ridurne le dimensioni previste (passando di fatto a una rete di radar e missili quasi del tutto navale) e dichiarare espressamente che la partecipazione russa è benvenuta. Questo maggiore margine temporale e negoziale ha ovviamente consentito anche alla NATO come tale di rientrare in gioco, dando all’iniziativa una veste assai meno unilaterale (cioè americana); del resto, già esistono un generico consenso tra gli alleati sull’opportunità di verificare l’efficacia di un eventuale sistema del genere, e alcuni “studi di fattibilità” in corso. Qui subentra però un motivo di perplessità, o quantomeno di cautela, rispetto all’attuale formulazione adottata da Washington e ripresa praticamente alla lettera dal Segretario Generale Rasmussen: un sistema che sia “phased and adaptive” verrà sviluppato e schierato, cioè la difesa antimissile si farà. In altre parole, si farà comunque, e pertanto – questa l’implicazione politica che non viene esplicitata – è inutile opporsi a tale dato di fatto, mentre conviene a tutti (Russia in testa) aggiustare i propri piani a questa realtà in evoluzione. In sostanza, pur accettando qualche compromesso sui tempi e i modi di realizzazione (che peraltro è nell’interesse americano per ragioni di bilancio), l’amministrazione Obama ha eliminato quasi ogni ambiguità sull’esito ultimo del processo in atto.

È utile ricordare quali fossero le maggiori obiezioni europee – assai diffuse e talvolta manifestate anche a livello ufficiale – al piano di G.W. Bush. Anzitutto c’era molta preoccupazione per la reazione russa, appunto, che oggi sembra poter essere aggirata grazie a un clima meno teso. Ma c’erano, inoltre, valutazioni scettiche sulla proporzionalità tra le possibili minacce dirette all’Europa e i costi della soluzione proposta. E infine il timore che, soprattutto nelle fasi iniziali di schieramento del sistema, si sarebbero create delle aree a sicurezza differenziata (con alcuni paesi protetti dallo scudo, e altri no) e dunque di frammentazione dell’Alleanza. Ora, non è scontato che questo insieme di dubbi possa essere superato solo grazie a una sorta di “repackaging”, per quanto ben realizzato.

Le speranze di trasformare in un’opportunità strategica questo grattacapo (perfino interalleato, prima ancora che russo-americano) dipendono da quello che Rasmussen definisce un “circolo virtuoso”, per cui la collaborazione proprio in un settore delicato come quello della difesa antimissile avrebbe effetti positivi anche su altri versanti del rapporto tra NATO e Russia. A sua volta, tale collaborazione sarebbe fondata su una comune valutazione della minaccia missilistica, a cominciare da quella proveniente dall’Iran – che il Segretario Generale sta in questo periodo ribadendo sistematicamente. Un problema extra-europeo come l’Iran, dunque, consentirebbe l’innesco di una dinamica costruttiva sul continente: una sorta di ubi maior minor cessat.

Se passiamo ora in rapida rassegna i due altri elementi della strategia delineata da Rasmussen, emerge un quadro interessante ma assai incerto. Riattivare il processo di controllo delle forze convenzionali in Europa, stanti le gravi difficoltà dell’accordo già esistente (il CFE), significa  discutere del principio che è stato messo direttamente in discussione dalle operazioni militari russe in Georgia del 2008, per cui ad oggi troviamo forze russe schierate nelle regioni indipendentiste contese. Da questo punto di vista, la NATO non nega affatto che vi siano divergenze al momento inconciliabili: se ne dovrebbe dunque prendere atto e accontentarsi di un impegno formale (ma presumibilmente generico) per il rispetto del consenso del paese “ospitante” in caso di schieramento di forze.

Il terzo passaggio della proposta è relativo alle armi nucleari a corto raggio, e qui addirittura di tratta di avviare un negoziato ex novo: cosa che non sembra facile immaginare, vista l’enfasi tuttora posta da Mosca proprio sulla componente nucleare del suo apparato militare (per compensare la crescente disparità di capacità tecnologiche nel settore convenzionale soprattutto rispetto agli Stati Uniti). Insomma, se la NATO vorrà procedere lungo questa strada dobbiamo prepararci a discussioni serrate, senza alcuna garanzia che l’auspicato circolo virtuoso non si trasformi in un circolo vizioso di recriminazioni reciproche.

Per valutare le probabilità di successo dell’approccio per cui “dalla fiducia nasce fiducia”, possiamo guardare allo sviluppo recente dei rapporti con la Russia: la firma del nuovo Trattato START (ora al vaglio del Senato americano) conferma che con il duo Medvedev-Putin è possibile concludere accordi di grande portata; d’altra parte, il comportamento russo sul nucleare iraniano suggerisce anche che Mosca è un cliente davvero difficile, con una visione del propri interessi che poco si adatta al concetto di “sicurezza comune” su cui dovrebbe basarsi una partnership durevole con la NATO. Insomma, luci e ombre.

Segnalati i limiti insiti nella linea indicata dal Segretario Generale, rimane il fatto che l’apertura di credito alla Russia offre certamente una vera opportunità di lasciarsi alle spalle le tensioni esplose con la crisi georgiana del 2008.

Non va comunque dimenticato che alla base di questa  fase potenzialmente nuova c’è una presa di posizione piuttosto netta: la NATO (almeno nelle intenzioni della sua più alta autorità civile) intende sostenere e accompagnare la politica americana di sviluppo graduale di un sistema antimissile. Il piano risponde a esigenze strategiche prioritarie; se poi servirà anche da volano per un miglioramento dei rapporti con la Russia, tanto meglio.

Comments (0)
Add Comment